41 bis, cosa prevede il regime di carcere duro

41 bis, cosa prevede il regime di carcere duro
Totò Riina ricoverato per un malore presso l’ospedale San Paolo di Milano

La norma fu introdotta nel 1986 con l’obiettivo di interrompere i contatti tra il detenuto e l’organizzazione criminale di appartenenza

Interrompere ogni tipo di legame tra il detenuto e l’organizzazione criminale a cui apparterrebbe: è questa la ratio del 41 bis, il regime di carcere duro, disposizione dell’ordinamento penitenziario italiano introdotta nel 1986 con la legge n.663, la ‘Legge Gozzini’, dal nome del suo promotore. La norma, modificando la legge 26 luglio 1975 n.354, introdusse un particolare regime di reclusione carceraria, in determinati casi di emergenza e/o necessità: una misura che sarebbe dovuta rimanere temporanea, legata, cioè, a quel particolare momento storico. Dopo le stragi di mafia del ’92 che hanno causato la morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è entrata stabilmente nel sistema penitenziario italiano. Dal 2009 è possibile applicare il regime del 41 bis al detenuto per quattro anni, ed è prorogabile per altri due anni. Il regime di ‘carcere duro’ è, nei fatti, una sospensione del normale trattamento penitenziario.

COME FUNZIONA IL 41 BIS – I detenuti sono in cella singola, hanno a disposizione due ore al giorno di socialità in gruppi da massimo quattro persone e possono usufruire di un colloquio al mese videosorvegliato di un’ora dietro un vetro divisorio. Solo chi non fa colloqui può essere autorizzato, dopo i primi sei mesi, a una telefonata al mese di dieci minuti. Il 41 bis si applica sia per reati di stampo mafioso, sia per reati terroristici, anche internazionali, e di eversione dell’ordine democratico attraverso atti di violenza.

Il carcere duro può essere revocato in due ipotesi. La prima è su ordine del Tribunale di sorveglianza di Roma (l’unico in Italia che ha il compito di pronunciarsi a riguardo), la seconda ipotesi è la scadenza del termine senza che sia disposta la proroga. Fino al 2009 era inoltre possibile la revoca per opera del ministro della Giustizia, nel caso in cui i presupposti che avevano giustificato il carcere duro fossero venuti a mancare, eventualità non più contemplata a seguito delle modifiche introdotte dalle legge 94/2009.

LE POLEMICHE – Già nel ’95 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti aveva definito il 41 bis il regime più duro tra quelli presi in considerazione. Negli anni anche la Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) è stata chiamata a pronunciarsi e varie volte l’Italia è stata condannata. Uno dei pronunciamenti più eclatanti è quello del 2018, per aver prorogato il 41 bis dal 2006 fino alla morte al boss della mafia corleonese Bernardo Provenzano. L’Italia, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, ha violato il divieto di trattamenti inumani e degradanti. Il regime di 41 bis applicato per periodi molto lunghi, anche a persone non condannate in via definitiva, è ritenuto da alcuni giuristi come incostituzionale, ma finora le pronunce della Corte costituzionale ne hanno confermato, nell’insieme, la legittimità. Ciononostante la Corte ha rilevato come ai detenuti venissero riservati “trattamenti penali contrari al senso di umanità, non ispirati a finalità rieducativa e, in particolare, non ‘individualizzati’, ma rivolti indiscriminatamente nei confronti di reclusi selezionati solo in base al titolo di reato”.

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