Caso Regeni: giudice sospende procedimento, nuova udienza il 10 ottobre. Legale famiglia: “E’ presa in giro, intervenga Draghi”

Il ministero della Giustizia: "Dall'Egitto totale chiusura a collaborazione per conoscere il domicilio degli 007 indagati, necessario per l'inivio delle notifiche"

Nuovo stop nel processo che vede coinvolti alcuni 007 egiziani per la morte di Giulio Regeni: il gup di Roma Roberto Ranazzi, ha infatti disposto la sospensione del procedimento sull’omicidio Regeni e ha fissato la data per una nuova udienza il 10 ottobre, data in cui in sarà sentito il direttore generale del ministero della Giustizia, Nicola Russo, sugli eventuali sviluppi. La decisione arriva dopo le comunicazioni del ministero della Giustizia e del Ros, che hanno ribadito una totale chiusura da parte dell’Egitto a qualsiasi forma di collaborazione e l’impossibilità di conoscere il domicilio degli 007 indagati necessario alle notifiche
Nel gennaio scorso, il giudice aveva chiesto al governo di verificare la possibilità di una effettiva collaborazione con le autorità egiziane: il ministero ha ribadito “il rifiuto dell’Egitto di collaborare nell’attività di notifica degli atti”, cui si aggiunge il no arrivato dal Cairo a un incontro tra la ministra Marta Cartabia e il suo omologo.
I carabinieri del Ros, impegnati su nuove ricerche per arrivare ai domicili degli indagati, sono riusciti a trovare il solo indirizzo dei luoghi di lavoro, che secondo il codice di procedura internazionale non può essere utilizzato per le notifiche in sede processuale.

Delusione da parte della famiglia del ricercatore – che venne rapito la sera del 25 gennaio 2016 e ritrovato morto nove giorni dopo lungo la strada che collega Alessandria a Il Cairo -: “Chiediamo che il presidente Draghi, condividendo la nostra indignazione, pretenda, senza se e senza ma, l’elezione di domicilio dei 4 imputati dal presidente al-Sisi e ci consenta lo svolgimento del processo per ottenere giustizia riguardo il sequestro, le torture e l’omicidio di Giulio”, ha detto l’avvocato Alessandra Ballerini, legale dei Regeni, dopo l’udienza. “Il governo alzi la voce e la faccia sentire, pretendendo l’elezione di domicilio di questi quattro imputati – prosegue – Sappiamo chi sono e dove lavorano, bisogna permettere a questo processo di andare avanti. Oggi è stata un’ennesima presa in giro per tutti voi e per tutti noi. Nessuno di noi è più al sicuro all’estero”.  Gli agenti egiziani coinvolti nel procesimento sono Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, tutti accusati di sequestro di persona, mentre Abdelal Sharif risponde anche di lesioni e concorso nell’omicidio.

“Prendiamo atto dei tentativi falliti del Ministero della Giustizia di ottenere concreta collaborazione da parte delle autorità egiziane e siamo amareggiati e indignati dalla risposta della procura del regime di al-Sisi che continua a farsi beffe delle nostre istituzioni e del nostro sistema di diritto – aggiunge Ballerini -. La lesione della tutela della vita, della libertà e dell’integrità dei cittadini all’estero, come la Presidenza del Consiglio ricorda nel suo atto di costituzione di parte civile, costituisce grave pregiudizio dell’immagine e del prestigio dello Stato Italiano nella sua funzione di protezione dei propri cittadini. Quindi, visto il conclamato ostruzionismo, egiziano pretendiamo da parte del nostro governo la necessaria, tempestiva e proporzionata reazione”. “Stare inermi ora, permettere al regime di Al Sisi di bloccare questo processo faticosamente istruito, consentirebbe l’impunità degli assassini di Giulio ed equivarrebbe ad essere loro complici – ha concluso – Il nostro governo ha il dovere di esigere energicamente giustizia”.

Caso regeni, sei anni di piste false e bugie: così l’Egitto ha bloccato le indagini

Sono quattro gli appartenenti ai servizi segreti egiziani coinvolti nel procedimento legato al caso Regeni: sono tutti accusati di sequestro, e uno di loro risponde anche delle sevizie e dell’uccisione del giovane. Giulio Regeni venne rapito la sera del 25 gennaio 2016: il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria a Il Cairo. Nelle prime settimane dopo il ritrovamento del corpo, tante false piste si susseguirono: prima si parlò di un incidente stradale, poi di una rapina finita male, successivamente si insinuò che il giovane fosse stato ucciso perché ritenuto una spia, poi che fosse finito in un giro di spaccio di droga, di festini gay, di malaffare che l’aveva portato a farsi dei nemici. A un mese dalla morte di Giulio alcuni testimoniarono di averlo visto litigare con un vicino che gli aveva giurato morte.

Il 24 marzo del 2016 arrivò l’ennesima ricostruzione non credibile e questa volta c’erano di mezzo cinque morti: criminali comuni uccisi in una sparatoria con ufficiali della National Security egiziana, alla periferia del Cairo. I documenti di Giulio furono trovati quello stesso giorno in casa della sorella del capo della presunta banda e si disse che i cinque erano legati alla morte del giovane. In un clima del genere, il pm Sergio Colaiocco e gli inquirenti di Sco e Ros, seguirono fin dall’inizio il lavoro dei colleghi cairoti. Dalle verifiche italiane emerse che il ricercatore era attenzionato da polizia e servizi segreti già settimane prima del rapimento.
Le analisi sui tabulati, effettuate in Italia, misero in luce i numerosi contatti telefonici tra gli agenti che si erano occupati di tenere sotto controllo Regeni tra dicembre 2015 e gennaio 2016, e gli ufficiali dei servizi segreti coinvolti nella sparatoria con la presunta banda di criminali uccisi nel marzo 2016 a cui gli egiziani provarono ad attribuire l’omicidio.

Dopo sei anni di bugie, false piste e mancata collaborazione da parte cairota, che oggi si rifiuta di comunicare gli indirizzi dei quattro 007 bloccando di fatto il procedimento, chi indaga in Italia è convinto che Giulio sia stato torturato e ucciso dopo esser stato segnalato come spia alla National Security dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah, con il quale era entrato in contatto per i suoi studi.
Abdallah chiedeva al ricecatore di poter usare a fini personali, in modo illegale, una borsa di studio che il giovane, grazie a una fondazione britannica, voleva far arrivare al sindacato. La richiesta di Abdallah e la risposta di Giulio vennero immortalate in un video, girato dal sindacalista nel dicembre del 2015 con una telecamera nascosta, probabilmente su richiesta della polizia.

Potrebbe esser stato proprio il rifiuto di dare illegalmente quei soldi a segnare il destino di Giulio: forse, quando Abdallah capì che non avrebbe ricevuto per sé almeno una parte delle diecimila sterline in ballo, decise di denunciarlo per accreditarsi con la National security come un informatore adeguato, e segnò la tragica fine del giovane.