Proseguono rapidamente le indagini coordinate dalla procura di Verbania sull'incidente che ha provocato la morte di 14 persone. Il meccanismo manomesso per lasciare in funzione l'impianto e non perdere i soldi
Dovrebbe arrivare questa mattina la convalida degli arresti dei tre fermati per la tragedia del Mottarone costata la vita a 14 persone: Luigi Nerini, amministratore delegato della società che gestisce la funivia che collega Stresa alla montagna del Verbano, Gabriele Tadini, caposervizio dell’impianto ed Enrico Perocchio, dipendente della ditta Leitner ma anche consulente per la società delle Ferrovie.
A parlare per primo delle problematiche sull’impianto sarebbe stato Tadini, convocato in caserma dai carabinieri di Stresa come testimone e poi indagato: la chiave nel ‘forchettone’ lasciato nel freno di emergenza per impedirne il funzionamento. “Per quello che ci risulta oggi il ‘forchettone’ è stato inserito più volte. Non sono in grado di dire se in maniera costante o soltanto quando si verificavano questi difetti di funzionamento” ha spiegato la procuratrice capo di Verbania, Olimpia Bossi.
La scelta di lasciarlo inserito sarebbe stata compiuta, secondo gli inquirenti, per ‘bypassare le anomalie’ della funivia, che portavano le cabine a bloccarsi e il freno di emergenza ad attivarsi continuamente.
Secondo la procura, l’ipotesi è che anche Nerini e Perocchio sapessero della decisione di lasciare inserito il ‘forchettone’: “Abbiamo ritenuto che necessariamente fosse la scelta non di un singolo ma condivisa e soprattutto non limitata a quel giorno”, ha detto la procuratrice. A spiegare la gravità del fatto è il comandante dei carabinieri di Verbania, Alberto Cicognani: “Non lo hanno fatto per fare del danno e questo rende la cosa ancora più grave. Probabilmente non avevano la consapevolezza. Hanno sottovalutato un rischio e questo è altrettanto grave”, ha spiega ai giornalisti dalla caserma.
Due gli interventi di manutenzione nel mirino degli inquirenti, definiti dalla procuratrice “non risolutivi”: uno sarebbe quello del 3 maggio, effettuato dalla Leitner di Vipiteno, che avrebbe rilevato l’anomalia. Anomalia che però non sarebbe poi stata risolta.
La situazione potrebbe però evolversi rapidamente: se il giallo del freno sembra essere risolto, non è ancora chiara la ragione per la quale la fune si è spezzata. “Era un evento prevedibile in astratto” ha detto la procuratrice, riferendosi al rischio che si sono assunte le persone che avrebbero deciso di ‘disattivare’ il freno di emergenza. “Già questa è un’ipotesi di delitto non a titolo di colpa. È una rimozione consapevole”. “Poi gli omicidi sono colposi. A questo punto il reato per il quale è stato disposto il fermo è l’art. 437 comma 2, aver rimosso sistemi di sicurezza. Se deriva il disastro la sanzione è aggravata” ha aggiunto la procuratrice.
Inizialmente un secondo ‘forchettone’ non era stato trovato, ma durante un sopralluogo del soccorso alpino e dei carabinieri, è poi stato rinvenuto tra le lamiere. Per il momento la carcassa della cabina crollata resta in vetta: difficile il suo spostamento per via della zona impervia dove si trova. Ma sulle ragioni della rottura della fune le indagini proseguono: non sarebbe tranciata di netto ma sfilacciata e spezzata. “Non ci sono elementi per il momento per collegare reciprocamente i due eventi”, cioè la rottura della fune e il non funzionamento del freno, ha spiegato la procura.
Intanto i tre fermati si trovano nel carcere di Verbania. Secondo quanto si apprende da fonti investigative, non è ancora stata fissata la data degli interrogatori.
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