È scattata l'ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione con finalità di terrorismo nei confronti di due egiziani, padre e figlio. Si tratta di Sayed Fayek Shebl Ahmed, 51 anni nato al Cairo, e Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed di 23, nato a Zenica in Bosnia Erzegovina. I due sono residenti a Fenegrò, nel Comasco: il padre è stato arrestato, mentre il figlio è latitante. Il ragazzo, infatti, si troverebbe in Siria a combattere a favore della jihad. Secondo la Digos di Milano e Como sia il padre sia la madre, cittadina marocchina di 45 anni espulsa per motivi di sicurezza pubblica, sono radicalizzati.
È stato il padre, che in passato ha combattuto in Bosnia per al-Quaeda, a radicalizzare il figlio, spingendolo perché si impegnasse per la causa e militasse in una brigata in Siria. La madre supportava il marito, mentre l'altro figlio della coppia, di un anno più giovane, era definito dai genitori come "un cane", una pecora nera, perché non è radicalizzato, è integrato con amicizie italiane e vive con un'italiana. Le indagini sono state svolte anche grazie all'installazione di una microspia nell'abitazione della famiglia. Marito e moglie hanno anche una figlia di 21 anni: nata a Como, non sarebbe coinvolta.
"Abbiamo trovato una famiglia compatta nella radicalizzazione: madre, padre e figlio maggiore. Solo i due minori, un ragazzo e una ragazza sono esclusi. C'è stato un vero e proprio passaggio di testimone tra padre e figlio maggiore, descritto dai genitori come 'orgoglio di famiglia'". Lo dice il capo della Digos di Milano, Claudio Ciccimarra, in merito all'operazione Talis pater. "Il padre è un ex combattente in Bosnia e decide per il figlio maggiore quale è la strada migliore. Quindi lo indottrina, gli paga il viaggio e il sostentamento in Siria, dove lo manda a combattere – continua Ciccimarra -. Lo ritiene un figlio prediletto perchè segue la sua strada, strada che gli serve per 'purificarsi'. A differenza dell'altro figlio, descritto in alcune intercettazioni captate dai genitori come "un cane" perchè "fa una vita all'occidentale e non segue il padre".
L'arresto, però, parte da un passo falso del padre che si rivolge alla Digos di Como dopo aver scoperto che il figlio prediletto si era allontanato da al-Quaeda e provava invece simpatie per l'Isis, manifestate anche sui social network. In particolare, spiega il procuratore aggiunto Alberto Nobili, capo dell'Antiterrorismo di Milano, il ragazzo "aveva diffuso video macabri di esecuzioni e una fotografia in cui viene ritratto in tuta mimetica con alle spalle una bandiera dell'Isis appesa nella sua abitazione. A quel punto l'atteggiamento del padre nei confronti del ragazzo era cambiato".
Il giovane, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, si era arruolato su indicazione del padre in un gruppo che si rifaceva alla scuola di pensiero di al-Quaeda. Era partito nel 2014 verso la Turchia per poi raggiungere la Siria, dove si troverebbe ora. Ma quando i leader del gruppo jihadista lo avevano allontanano dall'organizzazione ritenendolo un infiltrato, il padre aveva fatto di tutto per farlo reinserire. "A un certo punto il padre si è recato in questura a Como e alla Digos ha raccontato che il figlio, partito da pochi mesi per la Siria, era andato a combattere contro la sua volontà, e che lui lo aveva cacciato di casa perché temeva che il secondo figlio lo seguisse – ha spiegato il capo della Digos di Milano, Claudio Ciccimarra -. Cosa che poi durante l'indagine abbiamo verificato come del tutto falsa, perché è stato il padre a convincerlo e a formarlo. Mentiva".
Dalle intercettazioni è emerso che il genitore era andato apposta dalla Digos per tentare di salvarsi. Il 51enne ha raccontato anche che il 23enne era stato assunto come interprete di un ostaggio italiano, Fabrizio Pozzobono, poi liberato, originario di Castelfranco Veneto. Al alcuni amici il padre ha confessato di "essere stato costretto a fare questa sceneggiata con la polizia" per salvarsi "la schiena".
ESPULSI DUE MACEDONI. Anche due cittadini macedoni sono stati espulsi dal territorio nazionale, per motivi di sicurezza dello Stato. Con queste ultime, la seconda e la terza del 2018, sono 240 le espulsioni con accompagnamento nel proprio Paese, eseguite dal 1° gennaio 2015, riguardanti soggetti gravitanti in ambienti dell'estremismo religioso. Si tratta di un 43enne macedone residente in provincia di Treviso che dal 2016 era stato sottoposto ad indagini da parte della DIGOS di Venezia poiché indicato come soggetto connotato da ideologie jihadiste e in contatto con arruolatori del DAESH. Lo straniero, infatti, è risultato essere in relazione con suoi connazionali anch'essi coinvolti in pregresse attività antiterrorismo nonché con altri estremisti balcanici. Inoltre, a seguito di mirati approfondimenti, è stato rilevato che, in diverse circostanze, aveva condiviso il suo forte risentimento contro le istituzioni e la cultura italiana (al punto da asserire che il riconoscimento della nostra cittadinanza risulterebbe proibito per un musulmano poiché costituirebbe una sorta di "patto con gli infedeli"). Nei mesi scorsi, all'esito di una perquisizione, gli sono stati rinvenuti alcuni supporti informatici contenenti le prediche di diversi imam balcanici di estrazione ultra-radicale e documenti di propaganda jihadista.
L'altro espulso è un 45enne macedone, anch'egli residente nel trevigiano, cugino dell'altro connazionale, che è risultato attestato anch'egli su posizioni jihadiste e seguace di predicatori ultra-radicali dell'area balcanica. Oltre ad aver manifestato l'intenzione di raggiungere la Siria, è risultato collegato con stranieri tratti in arresto in pregresse operazioni antiterrorismo condotte sia in Italia che nei Paesi dei Balcani occidentali. Per questi motivi, il ministro dell'Interno Minniti ha firmato il decreto di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato e i due cittadini macedoni sono stati rimpatriati, con accompagnamento nel proprio Paese, con un volo decollato dalla frontiera aerea di Venezia e diretto in Macedonia.

