Sono 23 le persone indagate. Quattro ipotesi di reato: lentezza dei soccorsi, gestione emergenza neve, costruzione dell'albergo, mappa delle valanghe

A un anno dalla tragedia dell'hotel Rigopiano, sono 23 le persone indagate dalla procura di Pescara per la vicenda. Quattro i filoni dell'inchiesta che in questi mesi si è concentrata su diverse responsabilità: quelle di chi, in ritardo, si occupò di attivare la macchina dei soccorsi; quelle di chi gestì l'emergenza neve che precedette la slavina; di chi autorizzò la realizzazione del resort; e di chi avrebbe dovuto produrre la mai nata carta 'pericolo valanghe'. Le accuse, a seconda delle posizioni, vanno dall'abuso d'ufficio, al falso, e gli abusi edilizi, fino al disastro e omicidio colposi.

Tra gli indagati, figurano il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta,  il presidente della Provincia, Antonio di Marco, e il direttore del resort Bruno Di Tommaso. Iscritto anche l'ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, che insieme ad altri due ex dirigenti avrebbe attivato in ritardo le procedure indispensabili per liberare in sicurezza l'albergo prima della valanga.

Decine di persone erano rimaste bloccate nell'hotel a causa della nevicata che, il 17 gennaio del 2017, aveva interrotto l'unica strada percorribile per il paese: il pomeriggio del 18, spaventate e infreddolite aspettavano da ore i soccorsi, nella hall dell'albergo, quando la slavina distrusse tutto, senza lasciar scampo.
Nel fascicolo, coordinato dal procuratore capo di Pescara  Massimiliano Serpi con il pm Andrea Papalia, sono iscritti due ex sindaci di Farindola, Antonio De Vico e Massimiliano Giancaterino e cinque funzionari della Regione Abruzzo responsabili della prevenzione rischi e della cosiddetta 'carta valanghe' che avrebbe forse evitato la tragedia ma non fu mai realizzata nonostante fosse prevista dalla legge.

Solo dopo il disastro, partì in Regione l'iter che portò, con lo stanziamento di fondi, alla gara d'appalto per la realizzazione dello studio. La slavina arrivò dopo mesi di uno sciame sismico che, senza tregua, fece tremare la terra del centro Italia, lasciandosi dietro dolore e morte.

A gennaio, cinque mesi dopo la prima drammatica scossa di Amatrice costata la vita a 299 persone, mentre proseguivano le attività legate all'emergenza terremoto, protezione civile e soccorritori si trovarono a fronteggiare un'eccezionale ondata di maltempo, che colpì pesantemente Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Numerosi e complessi gli interventi: dal recupero e soccorso delle persone che bloccate in frazioni isolate, al ripristino della viabilità, delle infrastrutture e dei servizi essenziali gravemente compromessi dalle forti nevicate.

Il territorio era già allo stremo quando, il 18 gennaio, quattro scosse di magnitudo superiore a 5.0 colpirono nuovamente l'area, in particolare le Regioni Lazio e Abruzzo.  Poche ore dopo le scosse la valanga travolse, distruggendolo, l'hotel situato alle pendici del Gran Sasso, in provincia di Pescara. Le operazioni di ricerca e soccorso durarono ininterrottamente otto giorni e otto notti, consentendo di mettere in salvo undici persone, ma 29 rimasero sotto le macerie.

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