Parla il direttore dell'ong dopo il rapporto su violenze delle forze dell'ordine sui migranti

"Mi pare che tutto quello che tocchi le forze di polizia, non solo in questa materia, risente della paura dei testimoni di esporsi troppo" ma "visto che siamo nel Paese dei Cucchi e degli Aldrovandi veramente ci stupiamo che possano essere avvenute cose di questo genere?". Il direttore di Amnesty International Italia, Gianni Rufini, non si fa illusioni sugli esiti che il rapporto 'Hotspot Italia: come le politiche dell'Unione europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti' pubblicato dalla sua organizzazione possa avere sulle politiche pubbliche. Il dossier contiene una sequenza inquietante di testimonianze di abusi. La più diffusa, denuncia l'organizzazione per i diritti umani, è l'impiego di un manganello elettrico per dare scosse ai migranti che rifiutano di farsi prendere le impronte digitali. A cui, secondo decine di testimonianze da diverse città, tutte praticamente identiche, si accompagnano abusi, percosse e minacce, anche su minori.

Le denunce riportate nel rapporto sono agghiaccianti, eppure non sembrano aver attirato particolare attenzione. Come se lo spiega?

"In realtà ha attirato una certa attenzione. Ma naturalmente ci rendiamo conto che questo non è un argomento tale da suscitare una attenzione elevatissima. C'è una certa stanchezza dell'opinione pubblica e si è alzata la soglia dei maltrattamenti che molte persone trovano accettabili. C'è meno sensibilità di quanta ce ne fosse un anno fa. Ma il problema è anche nel rapporto: l'impossibilità di portare le persone allo scoperto con testimonianze firmate, tali da portarle davanti a un giudice. Queste persone non hanno accettato di esporsi per timore delle ritorsioni che potrebbero subire, soprattutto in relazione alla loro condizione di richiedenti asilo".

Voi però siete certi delle loro testimonianze.

"Certo, i nostri ricercatori hanno visto anche referti medici che non hanno potuto pubblicare. Hanno parlato con le persone subito dopo i maltrattamenti, ma molte non volevano essere citate. Mi pare che tutto quello che tocchi le forze di polizia, non solo in questa materia, risente della paura dei testimoni di esporsi troppo perché le conseguenze potrebbero essere troppo negative. Ma visto che siamo nel paese dei Cucchi e degli Aldrovandi veramente ci stupiamo che possano essere avvenute cose di questo genere? Non mi stupisce tanto che le forze di polizia possano aver adottato comportamenti eccessivi in mancanza di adeguata supervisione. In queste situazioni dovrebbe esserci un controllo. Noi certamente parliamo di comportamenti di singoli all'interno delle forze di polizia, non della polizia in quanto tale".

In effetti negli hotspot, così come nelle strutture che li hanno preceduti, resta la questione dell'accesso vietato ai giornalisti, autorizzato solo in circostanze eccezionali.

 "Esatto, il che non trova alcuna giustificazione dal punto di vista della logica di polizia e onestamente lascia spazio al sospetto che non si vogliano testimoni per poter operare con maggiore libertà. La migliore risposta sarebbe consentire l'accesso a giornalisti e testimoni, consentire l'assistenza legale, perché questo ci consentirebbe in una logica di trasparenza".

Cosa risponde al prefetto Mario Morcone, capo Dipartimento immigrazione del Viminale, che parla di "cretinaggini" e "falsità" contenute in un rapporto fatto "da Londra"?

"Ci vuole del coraggio a parlare di falsità, visto che siamo una organizzazione che ha costruito la propria forza su una reputazione di correttezza. Noi non riportiamo mai falsità, tutto quello che riportiamo è accuratamente verificato. Definire 'cretinaggini' accuse di questa portata, peraltro credibili, mi sembra indichi una grande superficialità. Che Morcone metta in mezzo Londra c'entra come il cavolo a merenda. Questi rapporti si fanno su indagini fatte in Italia, con ricercatori che vengono da Londra ma che raccolgono le testimonianze in Italia. A Londra si fa la confezione editoriale. Il lavoro di indagine si fa qui, poi a Londra si fanno le verifiche incrociate".

Nel rapporto, oltre a un diffuso impiego dei manganelli elettrici, denunciate anche due casi di umiliazioni sessuali. A Torino la Polfer avrebbe costretto diversi migranti a spogliarsi nudi e uno racconta violenze ai genitali.

"Questa testimonianza è stata confermata anche da altri testimoni. Non risportiamo mai fatti che siano confermati da una sola persona. Devono essere sempre almeno tre, addottiamo un metodo scientifico universitario, per così dire".

Denunciate anche un vuoto normativo sulle procedure da adottare negli hotspot.

"C'è questo ma anche il fatto che si adottano procedure contro il diritto internazionale. Non si informano le persone trattenute del loro diritto a chiedere asilo, del loro diritto a ottenere assistenza legale, del diritto a fare ricorso. Le persone non ricevono informazioni, vengono sottoposte a un interrogatorio e poi spesso e volentieri vengono imbarcati direttamente per essere riportati in patria. Parliamo di persone che in genere arrivano da un viaggio terribile, durato mesi in cui hanno subito ogni tipo di violenza e sopraffazione che quando arrivano qui vengono scaraventate in un ufficio di polizia dove vengono interrogati come se fossero criminali e non informate dei propri diritti. Questa è una violazione plateale del diritto internazionale".

Da tutto questo emerge un quadro terribile, completamente opposto all'immagine di un Paese che fa di tutto per salvare i migranti in mare. Qual è la verità?

"Sono vere entrambe le cose. Questo fa parte delle tradizionali contraddizioni in cui vive il nostro Paese. E' unico in questo senso e svolge con scrupolo e nobiltà la sua missione di salvare vite nel Mediterraneo. In questo non possiamo che lodare l'azione della guardia costiera. Però poi quando vengono portate sulla terra ferma cambia tutto. Arrivano in strutture fatiscenti, dove vengono trattati non sempre con brutalità ma come minimo con approssimazione e poca sensibilità rispetto al loro status. L'assistenza che ricevono è in alcuni casi buona, in altri inefficace o gravemente carente".

Cosa bisognerebbe fare?

La nostra legislazione, non consentendo accessi legali, è gravemente carente. Mi limito a sottolineare che una percentuale significativa, tra un quarto e un terzo, di quelli che arrivano ricevono poi il riconoscimento del diritto d'asilo. La prima cosa da fare sarebbe permettere l'ingresso attraverso vie legali, con domande nelle ambasciate europee in Africa. Così le persone potrebbero viaggiare con normali mezzi di trasporto, e smettere di alimentare la criminalità organizzata viaggiando con i barconi della morte. Continuare così ci sembra un modo di infierire su questi poveracci ed esporli a rischi gravissimi e del tutto ingiustificati per esercitare un diritto che poi viene riconosciuto dalla legge. La prima cosa da fare sarebbe prevedere vie sicure per chi ha diritto".

Poi c'è l'Europa.

"Si, poi c'è il tema della capacità dell'Europa di accogliere. Sappiamo che su questo la chiusura totale di molti paesi Ue rende impossibile esercitare questi diritti. Questo non ci sembra giustificabile nel continente più ricco del momento, a fronte di numeri infinitamente minori, in proporzione, di quelli a cui fanno fronte Paesi come Giordania, Libano, Tunisia. L'unica risposta che mi viene in mente è che serve ad alimentare per motivi politici le pulsioni di una parte dell'opinione pubblica xeonofoba e razzista".

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