Lo storico direttore generale della Rai si è spento all'età di 95 anni

Ieri sera è morto, all'età di 95 anni, Ettore Bernabei, storico direttore generale della Rai. "Uno dei padri della Rai e della televisione", scrive su Twitter l'azienda.

Nato a Firenze il 6 maggio 1921 fu direttore generale della Rai dal 1961 al 1974, ne uscì poco prima della riforma del 1975, imposta dalle sentenze della Corte costituzionale che richiedevano maggiore pluralismo nell'informazione. Dopo la carriera nell'azienda pubblica, divenne direttore dell'Italstat, la Società Italiana per le Infrastrutture e l'Assetto del Territorio, finanziaria del Gruppo Iri che operava nel campo dell'ingegneria civile. Quindi nel 1993 fondò la casa di produzione cinematografica Lux Vide. Il saggista Sebastiano Messina lo definì "l'uomo che ha plasmato la Rai negli anni d'oro del monopolio, il potentissimo direttore generale attraverso quattro Parlamenti e 14 governi". Vicino alla Democrazia cristiana di Amintore Fanfani (dal 1956 al 1960 diresse il Popolo) e alla Chiesa (fu soprannumerario dell'Opus Dei), era consapevole che "nella vita tutti abbiamo un padrone, ognuno deve scegliersi quello che ha le idee più simili alle proprie". A lui si attribuiscono frasi celebri che testimoniano il suo concetto di televisione. "Io – affermò – ho sempre avuto un obiettivo preciso: fare in modo che gli italiani andassero a dormire con qualche soddisfazione. Volevo informarli, educarli, divertirli, con qualcosa che contribuisse a farne dei buoni cittadini". Bernabei traghettò la Rai in un periodo cruciale della storia italiana, conscio che la televisione "ha un potenziale esplosivo superiore a quello della bomba atomica". Negli anni in cui fu direttore generale la Rai produsse e trasmise programmi come Tv7 e sceneggiati tratti da grandi opere letterarie come l'Odissea, i romanzi di Tolstoj e di Alessandro Manzoni; e serie tv tra le quali Gli Atti degli Apostoli per la regia di Roberto Rossellini, il Mosè, Gesù di Nazareth, diretti da Franco Zeffirelli. Con la Lux Vide produsse Le storie della Bibbia, la serie televisiva di ventuno film tratti dall'Antico e dal Nuovo Testamento, trasmessi dalla Rai in Italia, e in altri 143 paesi.

Sposato con Elisa Gallucci, ebbe otto figli: Marco, Roberto, Matilde, Laura, Andrea, Paola, Giovanni, Luca. Restano celebri alcune sue interviste. In particolare, a proposito della televisione del 1980, espresse a Claudio Sabelli Fioretti il seguente giudizio: "Quando un macellaio ha carne non buona la riempie di spezie. La nostra tv è piena di droghe, di spezie". Su Silvio Berlusconi, in qualità di presidente di Mediaset, disse: "Ha avuto il merito di creare il sistema misto in Italia, aiutato da parecchi ambienti politici, soprattutto nei primi tempi. Ha saputo cogliere le incapacità, gli errori, le paure, le inadeguatezze degli altri. In fondo ci avevano provato Mondadori, Rusconi, Rizzoli. Ma anche Berlusconi deve cercare un suo progetto editoriale. Deve scegliersi il pubblico. Invece vuole tutto. E' un errore". Per il suo modello di televisione, il conduttore insuperato resta Renzo Arbore. "E' il migliore – dichiarò – E' il prototipo di come deve essere il presentatore. Non urla mai, non ricorre mai alle sguaiatezze. Non circuisce lo spettatore con violenze, sesso, cattivo gusto. Non usa mai spezie. Ha sempre il rispetto del pubblico. Sfrutta meno degli altri i reconditi deteriori dell'umanità".
 

RENZI: UNA DELLE FIGURE PIU' SIGNIFICATIVE DEL DOPOGUERRA –  "Con Ettore Bernabei scompare una delle figure più significative dell'Italia del dopoguerra. Un fiorentino vero, appartenente in tutto e per tutto alla grande stagione della Firenze cattolica del secondo Novecento, legato culturalmente e spiritualmente prima ancora che politicamente a La Pira e Fanfani", dice il presidente del Consiglio Matteo Renzi. "Bernabei – aggiunge – è stato qualcosa di più di un manager di Stato, avendo vissuto in prima persona alcune pagine di grande rilievo anche della politica estera del nostro Paese. E personalmente mi resta impressa nel pensiero la sua grande passione per l'Italia e per il suo futuro che ancora qualche settimana fa mi confermava in un lungo colloquio a Palazzo Chigi ricco di aneddoti e di buoni consigli". "Voglio ricordarlo tuttavia innanzitutto emozionato mentre riceve il Fiorino d'oro di Firenze, segno di un amore con la sua città mai cancellato da oltre mezzo secolo di lavoro lontano da casa. Alla sua famiglia e ai suoi amici le condoglianze mie personali e di tutto il Governo", conclude il premier.
 

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