"Verosimilmente si trattava di gelosia patologia, forse alimentata da uso di sostanze stupefacenti"

Non si rassegnava alla fine della loro storia Vincenzo Paduano, l'omicida di Sara Di Pietrantonio. E quando ha realizzato che era davvero finita, ha deciso di uccidere e bruciare viva la ragazza 22enne con la quale aveva condiviso una relazione durata due anni. Oggi ci sarà la richiesta di convalida del fermo per il 27enne reo confesso. Paduano è nel carcere di Regina Coeli dove mercoledì dovrebbe tenersi l'interrogatorio di garanzia.

"Verosimilmente si trattava di gelosia patologia, forse alimentata da uso di sostanze stupefacenti, come anche la cannabis che molti reputano innocua ma che in realtà non lo è affatto, o forse frutto di una evoluzione di un pensiero che si trasforma e diventa malato, sulla base di un carattere peculiare". Così lo psichiatra Michele Cucchi, direttore sanitario del Centro Medico Santagostino di Milano, commentando il cado dell'omicidio di Sara da parte dell'ex fidanzato. "Vari studi suggeriscono come nei protagonisti di questi gesti ci siano tratti o talvolta vere e proprie personalità di tipo bordeline: persone caratterizzate da una scissione emotiva, con un'identità poco definita e naufraga fra le onde delle spinte pulsionali e relazionali; fortemente caratterizzata da insicurezza e vissuti di rabbia irrisolta che esplode nel momento in cui viene meno il dominio, il controllo, quando si allontana il suo irrinunciabile punto di riferimento, la vittima stessa. Ed è così che siamo sempre più sopraffatti da ansia, stress, rabbia. La gelosia è infatti una risposta emotiva legata  al pericolo di perdita del partner, che è connessa a reazioni di angoscia, rabbia e aggressività che hanno la funzione di proteggere la relazione", ha aggiunto.
 

Le conseguenze, come in questo caso, secondo lo psichiatra possono essere drammatiche: "Esistono varie sfumature che la gelosia assume nel diventare qualcosa di oltre, di diverso, dal fisiologico. Gli addetti ai lavori la chiamano "Sindrome di Otello – continua Cucchi – Una patologia che può essere dominata da varie dimensioni che si possono allo stesso tempo incrociare fra di loro a comporre il vissuto di una medesima persona. Ci sono profili di persona che la vivono in un contesto di sadismo e possessività, dove la persona amata diventa un oggetto, vissuto come rispecchiamento del proprio benessere e felicità, in modo del tutto egoistico, an-empatico, dove addirittura il piacere è dato dalla sofferenza dell'altro per me, un altro che perde ogni diritto e quindi diviene di mio possesso. In questo caso la sola presunzione di infedeltà fa scattare una dinamica relaziona che trascende il tradimento in sé, ma viene immediatamente risucchiata nella logica relazionale principale".

"A volte il gesto criminale può sembrare spropositato rispetto all'offesa subita, in realtà il soggetto ha "ruminato" a lungo sul suo dolore e sulla sua condizione e basta un piccolo segnale per scatenare la sua aggressività, come se fosse in attesa di un'occasione per esplodere. Ciò che distingue il delitto basato su una deriva patologica della gelosia, come questo, da quello emotivo-impulsivo, più tipicamente il raptus, è la progressiva corrosione della volontà, è l'idea dominante che  nel tempo paralizza la capacità di critica e di auto-controllo, che assorbe tutta la vita di un individuo e rende alla fine sostanzialmente naturale, normale conseguenza, un gesto estremo", ha concluso.
 

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata