di Maria Elena Ribezzo
Città del Vaticano, 23 nov. (LaPresse) – Mercoledì 25 novembre Papa Francesco inizierà il suo primo viaggio apostolico in Africa. Le minacce del sedicente Stato islamico nei confronti del Vaticano e del pontefice non hanno modificato il programma: il Santo Padre visiterà il Kenya, l’Uganda e la Repubblica Centrafricana, nella quale, ha annunciato, aprirà la Porta Santa della Cattedrale di Bangui domenica 29, anticipando di una decina di giorni l’inaugurazione ufficiale del Giubileo della Misericordia. La porta della Basilica di San Pietro verrà infatti aperta l’8 dicembre.
In due videomessaggi (uno in lingua inglese per il Kenya e l’Uganda, l’altro in francese per il Centrafrica) Papa Francesco ha oggi sottolineato che nel suo viaggio si farà “messaggero di pace”, per promuovere “comprensione” e “rispetto” senza distinzioni di credo o etnia. Un momento “speciale della visita”, ha detto, “sarà rappresentato dagli incontri con i giovani”, che sono la “principale risorsa” del continente e “la più promettente speranza per un futuro di solidarietà, pace e progresso”.
Il desiderio del papa è anche quello di “sostenere il dialogo interreligioso”, per incoraggiare una “convivenza pacifica”, soprattutto in Centrafrica, ma anche nel resto del continente. E infatti Francesco in Kenya presiederà un incontro ecumenico e interreligioso nella sede della Nunziatura di Nairobi (26 novembre), in Uganda visiterà il santuario anglicano dei martiri a Namugongo (28 novembre) e in Centrafrica visiterà la moschea di Koudoukou, a Bangui (30 novembre).
IL PROCESSO AI CORVI IN VATICANO. Intanto, tra le mura leonine, la Santa Sede si prepara al processo ai cinque imputati per fuga di notizie.
Domani alle 10.30 ci sarà la prima udienza nella quale i cinque dovranno difendersi da due accuse: la prima è per monsignor Lucio Vallejo Balda, Nicola Maio (suo ex segretario particolare) e Francesca Immacolata Chaouqui, che si sarebbero “associati” tra loro formando un “sodalizio criminale organizzato, dotato di una sua composizione e struttura autonoma”.
Il secondo capo d’accusa è per tutti ed è quello noto: concorso in diffusione di notizie e documenti riservati. “In concorso tra loro – comunica una nota del Vaticano -, Vallejo Balda, nella qualità di segretario generale della prefettura per gli affari economici, Chaouqui quale membro della Cosea, Maio quale collaboratore di Vallejo Balda per le questioni riguardanti la Cosea, Fittipaldi e Nuzzi quali giornalisti, si sono illegittimamente procurati e successivamente hanno rivelato notizie e documenti concernenti gli interessi fondamentali della Santa Sede e dello Stato”.
In particolare, Vallejo Balda, Maio e Chaouqui si sarebbero procurati le notizie “nell’ambito dei loro rispettivi incarichi nella prefettura per gli affari economici e nella Cosea”, mentre Fittipaldi e Nuzzi “sollecitavano ed esercitavano pressioni, soprattutto su Vallejo Balda, per ottenere documenti e notizie riservati, che poi in parte hanno utilizzato per la realizzazione di due libri usciti in Italia nel novembre 2015”. Se gli imputati dovessero non comparire, si specifica, verrebbero comunque giudicati in contumacia.
LE DECISIONI DI COMPARIRE A PROCESSO. Chaouqui e i due giornalisti, tuttavia, hanno già dichiarato su vari canali che si presenteranno davanti alla commissione giudicante, presieduta da Giuseppe Dalla Torre. “Quando ho visto il dispositivo del rinvio a giudizio del processo in Vaticano ho pensato che era meglio lasciar perdere, rinunciare a qualsiasi difesa. Ho pensato che la giustizia non è mai di questo mondo”, ha scritto Chaouqui sul suo profilo Facebook. “Ero rimasta così male che neanche volevo più andarci al processo, tanto più che il Vaticano non ha ammesso l’avvocato Bongiorno come mio difensore, nonostante precedentemente lei avesse sempre ottenuto il permesso di patrocinare altre cause davanti allo stesso tribunale”, ha affermato, aggiungendo però che domani andrà a difendersi al processo.
“A dimostrare che mai un solo foglio è passato dalle mie mani a quelle di un giornalista, uno qualsiasi, non solo Emiliano o Gianluigi. Mi batterò come un leone affinché la verità emerga. Possono condannarmi, ma se lo faranno sappiate che mai potranno produrre una sola prova che un solo foglio sia stato portato o consegnato da me a chiunque non fosse un mio referente nella commissione, il Santo Padre stesso o il suo staff”.
“In Vaticano non esiste alcuna legge che possa essere paragonata all’articolo 21 della nostra Costituzione, né commi a difesa del diritto di cronaca, o codici deontologici che permettano al giornalista di opporre il segreto professionale a tutela delle proprie fonti. Domani inizia il dibattimento e sarò in aula. Ma questo che inizia non è un processo contro di me. È un processo alla libera stampa”, ha scritto Emiliano Fittipaldi in una lettera inviata al direttore de La Repubblica.
“Mentre scrivevo ‘Avarizia’ – ha raccontato -, mai avrei immaginato che dopo la sua pubblicazione sarei finito sotto inchiesta. Processato perché accusato di un reato che prevede una pena che va dai 4 agli 8 anni di carcere”.
“Speravo che il libro, invece di essere messo all’indice come ai tempi del Sant’Uffizio, provocasse anche una reazione costruttiva da parte del mondo ecclesiastico. È invece accaduto il contrario”. “La giurisprudenza vaticana considera un delitto l’essenza stessa del nostro mestiere – ha sostenuto Fittipaldi – ossia il dovere di pubblicare i fatti che il potere, qualunque forma esso prenda, vuole tenere occultati alla pubblica opinione”.
“Siederò al banco degli imputati portando il mio libro ‘Via Crucis’ come corpo del reato – ha confermato Gianluigi Nuzzi sul suo blog, rilanciando l’hashtag già lanciato nei giorni scorsi #noinquisizione – . La politica tace, l’ordine nazionale giornalisti tace”, ha denunciato, annunciando che dopo l’udienza, alle 15, incontrerà i giornalisti presso la sede della Stampa Estera di Roma.
L’APPELLO DELL’OSCE. A difesa dei giornalisti è intervenuta l’Osce, che tiene sotto osservazione gli sviluppi dei media in tutti i 57 Stati membri, fra i quali c’è la Santa Sede. L’appello è arrivato tramite una lettera indirizzata alle autorità vaticane che porta la firma di Dunja Mijatovic, che per l’organizzazione monitora la libertà dei media.
La nota chiede che si ritirino le accuse penali nei confronti di Fittipaldi e Nuzzi e che si rispetti la libertà di stampa. “I giornalisti – ha scritto la rappresentante dell’Osce – devono essere liberi di riferire su questioni di interesse pubblico e di proteggere le loro fonti confidenziali. Invito le autorità a non procedere con le accuse e proteggere i diritti dei giornalisti in conformità agli impegni con l’Osce”.
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