Città del Vaticano, 6 nov. (LaPresse) – “Se un credente parla della povertà o dei senzatetto e conduce una vita da faraone: questo non si può fare”. E’ chiarissimo e diretto Papa Francesco in un’intervista al giornale olandese ‘Straatniews’, intenzionato ad andare avanti senza riserve nella sua lotta per la trasformazione della Chiesa. No allo sfarzo, no agli sprechi. Ripartire dalla missione evangelica. E di mattina presto, rincara la dose con l’omelia di Santa Marta: “Che tristezza”, dice vedere sacerdoti e vescovi che “invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa”. Prelati che si sono accomodati su uno status raggiunto, che vivono “comodamente senza onestà”, come i farisei di cui parla Gesù “che passeggiavano nelle piazze, facendosi vedere dagli altri”.

Se non fosse abbastanza chiaro il concetto, il Santo Padre affida la sua prima riflessione dopo la bufera che è seguita alla pubblicazione di due volumi sugli sperperi in Vaticano, proprio a ‘Straatnieuws’, che è un giornale dei senza tetto.

Nella conversazione il Santo Padre parla di due tentazioni: una è quella di condurre una vita sfarzosa predicando la povertà. L`altra è di fare accordi con i governi. “Si possono fare accordi, ma devono essere accordi chiari, accordi trasparenti. Perché c`è sempre la tentazione della corruzione nella vita pubblica. Sia politica, sia religiosa“. E dice di sognare un mondo senza poveri: “Dovremmo lottare per questo. Ma io sono un credente e so che il peccato è sempre dentro di noi. E la cupidigia umana c’è sempre, la mancanza di solidarietà, l’egoismo che crea i poveri. Per questo mi sembra un po’ difficile immaginare un mondo senza poveri”.

“La Chiesa è chiamata a servire – dice nell’omelia -, non a diventare affarista”. E mette in guardia dagli “arrampicatori, attaccati ai soldi” che danneggiano la Chiesa. La sua gioia è per i preti e le suore che ricordano e perseguono la missione a cui si sono votati: “Mi commuovo, quando in questa Messa vengono alcuni preti e mi salutano: ‘Oh padre, sono venuto qui a trovare i miei, perché da 40 anni sono missionario in Amazzonia‘. O una suora che dice: ‘No, io lavoro da 30 anni in ospedale in Africa’. O quando trovo la suorina che da 30, 40 anni è nel reparto dell’ospedale con i disabili, sempre sorridente”. Questo si chiama servire, spiega, “questa è la gioia della Chiesa: andare oltre e dare la vita”. E sembra determinato nel fare tabula rasa delle cattive abitudini, chiedendo aiuto al Signore: “che ci dia la grazia che ha dato a San Paolo – conclude nell’omelia -, quel punto d’onore di andare sempre avanti, sempre, rinunciando alle proprie comodità tante volte, e ci salvi dalle tentazioni, da queste tentazioni che in fondo sono tentazioni di una doppia vita: mi faccio vedere come ministro, cioè come quello che serve, ma in fondo mi servo degli altri”.

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