Roma, 19 ago. (LaPresse) – E’ allarme coste: sui 3.902 chilometri di coste analizzate da Legambiente, da Ventimiglia a Trieste, oltre 2.194 chilometri, pari al 56,2% dei paesaggi costieri, sono stati trasformati dall’urbanizzazione. Lo studio è stato avviato nel 2012 dall’associazione ambientalista prendendo in esame le aree costiere di tutta la Penisola ad eccezione di Sicilia e Sardegna, che rientreranno nella ricerca il prossimo anno. Lo scopo è registrarne il consumo legato a speculazione edilizia e urbanizzazione di paesaggi agricoli e naturali. Il quadro che emerge dal dossier, che prende in esame 13 regioni, è che dal 1985, anno della legge Galasso, sono stati cancellati dal cemento circa 222 chilometri di paesaggio costiero, a un ritmo di quasi 8 chilometri l’anno.

La tutela delle coste è tornata di attualità in queste settimane per via della modifica alle procedure di autorizzazione per gli interventi in aree costiere avvenuta con la legge Madia. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, ricorda Legambiente, prevede che per costruire nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico come quelle costiere, oltre all’autorizzazione edilizia, è necessario anche un parere paesaggistico autonomo espresso da un soprintendente: con il testo di riforma della pubblica amministrazione, approvato definitivamente dal parlamento il 4 agosto, in caso di ritardo di oltre 90 giorni da parte della soprintendenza i termini e le condizioni per l’acquisizione del parere decadranno e si determinerà un silenzio assenso. “I rischi per le coste italiane aumenteranno”, prevede il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini, “occorre cambiare le regole di tutela, che si sono rivelate del tutto inadeguate a salvaguardare i paesaggi costieri dalla pressione edilizia, e istituire un sistema di controlli adeguati e di condivisione delle informazione tra i ministeri dei Beni culturali e dell’Ambiente, Regioni e Soprintendenze, Comuni e forze di polizia. Occorre poi completare la pianificazione paesaggistica”. Il confronto tra le coste, realizzato attraverso una sovrapposizione di foto satellitari, evidenzia processi analoghi nelle diverse regioni. Il versante tirrenico è stato intaccato nella maniera più rilevante e, infatti, meno del 30% delle sue aree rimane oggi libero da costruzioni. Nell’Adriatico è soprattutto la morfologia costiera ad aver costituito un ostacolo nei confronti della cementificazione. In ogni caso, tra il Molise e il Veneto sono scomparsi dal 1988 ulteriori 42 chilometri di costa, con un incremento delle trasformazioni dei paesaggi pari al 6,3%.

Complessivamente il record negativo spetta alla Calabria, dove le trasformazioni interessano più del 65% dei rispettivi paesaggi costieri, seguita da Lazio, Abruzzo e Liguria con il 63% di coste consumate. In Calabria su un totale di 798 chilometri sono 523 quelli trasformati da interventi edilizi, anche illegali. Tra il 1988 e il 2011 sono stati consumati 11 chilometri di costa, soprattutto per seconde case e centri turistici. Le trasformazioni maggiori hanno riguardato la costa tirrenica, dove gli edifici hanno cancellato importanti aree agricole, intaccato paesaggi montuosi di rara bellezza, avvicinato i centri esistenti, densificato e cementificato in maniera irresponsabile, sostiene Legambiente, un patrimonio naturale inestimabile.

Si confermano poi preoccupanti le situazioni di Abruzzo e Lazio. La Regione adriatica rappresenta dal punto di vista del consumo di suolo un caso emblematico, perché negli ultimi decenni è stata creata una vera e propria barriera tra il mare e l’entroterra con decine di appartamenti e palazzi realizzati praticamente sulla spiaggia, come nei casi di Montesilvano, Silvi, Francavilla al Mare, Torino di Sangro e Vasto. Nel Lazio spiccano le criticità di tratti come il Lido di Ostia, le spiagge di Fiumicino, Santa Marinella e Scaglia, in cui non solo si è consumato suolo a scopo residenziale quasi esclusivamente per seconde case e servizi correlati, ma è stata occupata la spiaggia con attrezzature turistiche imponenti.

Non meno grave la situazione della Liguria, dove su un totale di 345 km di costa ne sono scomparsi 218. Negli ultimi venti anni sono stati intaccati 4mila metri di paesaggi costieri naturali in gran parte a favore di nuove seconde case, ville e palazzi, per l’espansione di alcuni agglomerati che si susseguono lungo la costa e per attività turistiche e portuali. Tra le nuove regioni monitorate, invece, la meno virtuosa è la Puglia, dove ben 80 chilometri di costa sono stati cancellati in soli due decenni. Complessivamente il 56,2% del totale della costa pugliese, sia adriatica che ionica, è stato modificato con interventi antropici legali o abusivi, con un fenomeno rilevante di consumo di suolo alle spalle della Riserva Naturale del Lago di Lesina, nel foggiano, e alle spalle del tratto di costa che va da Santa Maria di Leuca a Taranto. Negativo anche il bilancio del Friuli Venezia Giulia (55,4% di costa trasformata), dove tra l’altro, nelle zone di Lignano e Grado, sono stati presentati progetti turistici per centinaia di migliaia di metri cubi che, afferma Legambiente, occorre scongiurare.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata