Milano, 31 lug (LaPresse) – Lo hanno picchiato, accoltellato, strangolato e infine hanno dato fuoco al suo cadavere. Con il fermo di quattro persone, due italiane e due di origine filippina, i carabinieri di Monza hanno chiuso le indagini sull’omicidio di Villamar Glenn Padilla, anche lui di origine filippina, trovato carbonizzato il 26 gennaio di quest’anno a Novate Milanese (Milano).
Un brandello di polpastrello, un disegno tribale tatuato sull’avambraccio, un chiodo ortopedico nel femore. Con un’indagine alla Csi, seguita da investigazioni tradizionali e intercettazioni, i carabinieri di Monza sono riusciti a identificare il corpo carbonizzato. E una volta accertati nome e cognome della vittima, hanno passato al setaccio la vita e gli affari della vittima. Ed è arrivato il resto.
Lavorando su connazionali e conoscenti dell’uomo, i detective dell’arma sono arrivati ai presunti autori del delitto e al possibile movente. In due riprese, il 7 e il 27 luglio, sono finiti in manette altri tre filippini e un italiano, Pascual Buidon di 35 anni, Carlo J. Lardizabal di 25 anni, Luigi Ruvolo di 57 anni e Chester D Mesa di 27 anni.
Pdilla, è stato ricostruito dai carabinieri, gestiva lo smercio di shaboo, droga etnica, destinato alle piazze del quartiere San Siro, ma meditava di trasferirsi a Biella con la fidanzata, spostando lì l’epicentro dei suoi traffici. Avrebbe così lasciato senza ‘lavoro’ e senza guadagni facili i quattro pusher cui procurava la droga da vendere, sostanza che vale 250-400 euro al grammo. In più aveva con loro un debito non onorato da 800 euro.
Il 24 giugno, sempre secondo gli investigatori di Monza, i quattro spacciatori con un pretesto sono andati nella sua casa di Milano, in via Mar Jonio 2. Lo hanno picchiato con mazze da baseball, lo hanno accoltellato e per essere sicuri che morisse lo hanno anche strangolato.
Due giorni dopo hanno infilato il corpo senza vita in uno scatolone, lo hanno caricato su un furgone e lo hanno scaricato a Novate Milanese. Il fuoco appiccato dagli assassini, per distruggere la salma e impedire il riconoscimento, ha risparmiato poco, ma quello che è rimasto è stato sufficiente per arrivare all’identificazione certa della vittima. La rosa dei sospettati è stata ristretta a quattro pregiudicati per droga, il settore criminale in cui operava anche il morto.
Erano cauti e guardinghi, parlavano poco al telefono e per comunicare usavano sim intestate ad altri stranieri. Ma gli elementi raccolti dai detective sono stati sufficienti a indurre il pm di turno a emettere un doppio provvedimenti di fermo. La cattura dei primi due è stata accelerata perché stavano per tornare in patria, nelle Filippine.
Poi sono stati presi i due complici, un connazionale nato in Italia e un messinese. I fermati, tutti lasciati in carcere dal gip, qualche ammissione l’hanno fatta, riferiscono i militari. Ma ciascuno di loro scarica sugli altri la responsabilità e l’esecuzione del delitto.
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