Mestre (Venezia), 17 nov. (LaPresse) – “Erano tutti ragazzi fra i 20 e i 25 anni, con la barba lunga però sempre coperti con i cappucci quindi non li ho visti in faccia. Loro si definivano mujaheddin, poi io avevo pochissimi contatti, mi davano da mangiare e mi facevano i video e basta. Mi hanno dato dopo tre giorni l’insulina”. Con queste parole Gianluca Salviato ha ricostruito il periodo del suo rapimento, non appena arrivato a Mestre. Salviato era stato rapito in Libia il 22 marzo scorso e liberato sabato sera.

“Ciò che mi ha tenuto in piedi – ha confessato – è stato pregare e sapere che mi avrebbero riportato a casa, loro non ci mollano mai”, ha detto Salviato riferendosi agli uomini della Farnesina. “Mi hanno detto ‘vai sei libero’ in arabo. Mi hanno caricato in macchina, mi hanno portato in una casa dove c’era il capo dei servizi segreti di Tobruk e da lì in aeroporto dove ho trovato gli uomini della Farnesina”, ha detto ripensando al momento della liberazione. “Ora – ha concluso – sto toccando il cielo con un dito”.

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