Torino, 30 lug. (La Presse) – Scontri tra manifestanti e forze dell’ordine a Moriassi di Arquata, in provincia di Alessandria, nei boschi dove dovrebbe sorgere una parte del cantiere della linea ferroviaria del Terzo valico. Un gruppo di No Tav Terzo valico ha tentato di impedire l’esproprio di un terreno e la polizia ha respinto i manifestanti con cariche e lanci di lacrimogeni. I No Tav sono scappati lungo i sentieri, poi si sono ricompattati e sono tornati nel punto dove sono presenti le forze dell’ordine.
Tra i manifestanti ci sono dei feriti, non gravi. Nei boschi di Arquata è arrivata l’ambulanza. Continuano le tensioni e i lanci di lacrimogeni.
LA PROTESTA A SERRAVALLE. All’alba un gruppo di manifestanti si è dato appuntamento a Serravalle e, con bandiere e striscioni No Tav, ha marciato fino a Libarna, dove era previsto il primo esproprio. Qui decine di manifestanti si sono fronteggiati con le forze dell’ordine, disponendosi schierati davanti agli agenti. Ci sono stati alcuni minuti di tensione, quando i poliziotti hanno spinto con gli scudi contro i manifestanti.
Il gruppo di No Tav ha ripreso successivamente la marcia verso Arquata. A Moriassi di Serravalle lungo la strada nel bosco sono state create delle piccole barricate e sistemate nel terreno bandiere No Tav.
GLI ESPROPRI. Questa mattina erano previsti gli espropri di alcuni terreni di privati in funzione dell’allargamento del cantiere del Terzo valico. Il movimento No Tav Terzo valico ha lanciato nei giorni scorsi un appello attraverso la rete affinche si radunassero No Tav anche da altre Regioni. Sabato scorso una delegazione del movimento No Tav Terzo valico era presente in Val di Susa durante la marcia No Tav al cantiere di Chiomonte.
L’APPELLO NO TAV. Gli espropri del Terzo valico, scrivono i No Tav terzo valico sul loro organo di informazione online, sono “una grande patata bollente, considerata la determinazione dimostrata dai comitati nell’impedire che questo accada”. “Per aggirare l’ostacolo -spiegano – hanno offerto ai proprietari fino a cinque volte il prezzo di mercato dei loro terreni e delle loro case per raggiungere un accordo bonario e, si badi bene, lo hanno fatto con soldi pubblici che dovrebbero essere utilizzati per scopi più nobili”.
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