Torino, appalti Venaria: Enrietti, ‘Faccia di Bronzo’ del Psi torinese

Torino, appalti Venaria: Enrietti, ‘Faccia di Bronzo’ del Psi torinese

Torino, 7 ott. (LaPresse) – Nella ‘Torino da bere’ socialista era considerato “la faccia di bronzo” più impenitente del gotha subalpino del Garofano. Una ‘Torino da bere’ in realtà molto più piccola e sottodimensionata rispetto alla Milano craxiana e, di fatto, segnata, nelle ‘giunte rosse’ sorte a metà degli Anni 70 nella Regione Piemonte e nel Comune di Torino, dall’egemonia – politica e affaristica – del Pci e della potentissima federazione provinciale della città operaia dove Gramsci, Togliatti e Longo avevano preparato il ‘loro’ partito. Enrietti ‘Faccia di Bronzo’, dunque, più dello stesso Giusi La Ganga, uno dei ‘delfini’ di Bettino e potente ras degli ‘enti locali’ in salsa socialista, più di quel Silvano Alessio (detto ‘Abracadabra’) che al Psi era approdato con un’enorme esperienza di intrighi di partito e di traffici nella pubblica amministrazione, maturata dopo aver militato in quasi tutte le formazioni del cosiddetto ‘arco costituzionale’ con la sola eccezione della Democrazia Cristiana e del Pci e persino con un’adesione giovanile al Partito Monarchico di Alfredo Covelli.

Ezio Enrietti invece, allora rampantissimo presidente della giunta regionale piemontese, era stato sempre e solo socialista, con un regolare ‘cursus honorum’ tipico della Prima Repubblica: segretario di sezione a Caselle (Torino) dov’è nato nel 1936, vicesegretario di federazione, consigliere comunale ancora a Caselle, assessore comunale, consigliere regionale, assessore regionale e poi presidente. Simpatie giovanili per la corrente guidata da Giacomo Mancini e poi, dopo la svolta dell’Hotel Midas a Roma, pienamente inserito nella galassia craxiana. “All’apparenza timido, elegante – lo raccontano oggi i vecchi compagni di allora -, ma in realtà molto in carriera, svelto, spregiudicato quanto basta e con un istinto innato per affari e per appalti. E poi con quella ‘faccia di bronzo’, appunto, che gli consentiva di fare e dire cose che, per altri, sarebbero state inimmaginabili”.

Come nel marzo 1983, quando il Comune di Torino e la Regione Piemonte furono sconvolti dallo “scandalo delle Tangenti”, di poco successivo a quello ligure del ‘caso Teardo’ (furono due vicende che anticiparono di un decennio la successiva slavina giudiziaria di ‘Mani Pulite’). Il sindaco comunista Diego Novelli, proprio mentre a Milano era in corso il congresso nazionale del Pci di Enrico Berlinguer, aveva denunciato alla procura della Repubblica di Torino i maneggi del ‘faccendiere’ Adriano Zampini attorno agli appalti di Comune e Regione. Il risultato fu una bufera politico-giudiziaria che, nel giro di un anno, avrebbe portato alla fine dell’esperienza delle ‘giunte rosse’ (quelle nelel quali il Psi, alleato della Dc nel governo nazionale, guidava molti e importanti enti locali assieme ai comunisti) e che, in quei giorni, portò all’arresto o all’incriminazione di amministratori e dirigenti torinesi del Psi, del Pci e della stessa opposizione democristiana.

Tra gli altri, il vicesindaco socialista di Torino Enzo Biffi-Gentili, tre assessori regionali della giunta Enrietti, addirittura i due capigruppo del Pci in Regione e in Comune. “E fu proprio in quell’occasione che la ‘Faccia di Bronzo’ del Garofano subalpino riuscì a compiere il suo capolavoro – rievocano adesso i ‘sopravvissuti’ torinesi di quella stagione politica – Intervistato in quelle ore da Paolo Guzzanti, allora inviato del quotidiano ‘Repubblica’, arrivo a pronunciare un’intemerata moralista proprio nei confronti dei suoi compagni di partito coinvolti nelle indagini: ‘…Io li avevo avvertiti. Non è così che si fa politica: tutte le sere chiusi a confabulare fino a notte alta all’American Bar Ballantyne, a contare i numeri, a decidere soltanto sulla base del potere personale. Dio mio! Politica significa anche un minimo di dibattito, di inizativa…’. Il giorno dopo, leggendo quelle parole, fummo in molti a dire che Ezio Enrietti aveva passato il segno e che quelle dichiarazioni gli avrebbero porato male…”.

Previsioni destinate a trovare conferma poche settimane dopo. Scossa dagli arresti e dalle rivelazioni delle intercettazioni telefoniche (le prime, in Italia, a smascherare il vero volto della politica), la giunta Enrietti è costretta a dimettersi e sulla poltrona di presidente viene richiamato in tutta fretta l’avvocato cuneeese Aldo Viglione, un socialista perbene e che, sino a tre anni prima, aveva guidato l’esprienza della ‘giunta rossa’ regionale, costretto poi a mettersi da parte proprio per far posto al suo rampante assessore alla Sanità (una carica strategica in quegli anni, che avevano visto l’avvio del Servizio Sanitario Nazionale e trasformato la gestione della sanità pubblica nel vero ‘cuore amministrativo’ delle Regioni italiane). Poco dopo, infine, la macchina giudiziaria di quella ‘Tangentopoli’ ante litteram aveva travolto anche l’ex presidente. Una storia legata a uno scandalo immobiliare: l’affitto di una sede secondaria della Regione, a prezzi doppi rispetto al mercato, lo aveva portato in carcere con l’accusa di truffa.

Da allora, la dimenticanza aveva assorbito ‘Faccia di Bronzo’, mentre intanto altri scandali nazionali, ben più grandi e gravi del suo, spazzavano via il partito più antico d’Italia, il Psi, Bettino Crazi e la Milano e la Torino ‘da bere’. Enrietti era rientrato nell’ombra, nella sua Caselle, e aveva messo su un’impresa specializzata in lavori edili. Pochi lo sapevano o lo ricordavano, ancora meno quelli che erano a conoscenza che l’ex presidente partecipava ad appalti pubblici importanti, come quelli del più ‘grande restauro d’Europa’, quello della Reggia di Venaria che ha distribuito quasi 300 milioni di euro. Sino a questa mattina, quando dalle ombre della Prima Repubblica, ancora una volta per un ordine di cattura, è rispuntato il nome e il volto (invecchiato) della ‘Faccia di Bronzo’ del Garofano subalpino.

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