Torino, 7 set. (LaPresse) – La famiglia di Vito Scafidi, il ragazzo morto nel 2008 a 17 anni al liceo Darwin di Rivoli (Torino) a causa del crollo di un controsoffitto, ha intentato causa civile alla Provincia di Torino chiedendo un risarcimento milionario. L’intenzione dei genitori di Vito e della sorella del ragazzo morto è quella di costituire una fondazione intitolata al figlio pronta a sovvenzionare scuole e studenti. Si tratta di una causa pilota in Italia, studiata secondo il modello del diritto americano.

“L’obiettivo della famiglia – ha spiegato l’avvocato Renato Ambrosio del foro di Torino – è che anche un ente, non solo una persona, se non investe in sicurezza deve ricevere una sanzione esemplare. Lavoriamo in modo molto sereno perché la famiglia Scafidi non ricerca il denaro. Se fosse stato questo il loro obiettivo, lo avrebbero già chiesto prima della sentenza penale di primo grado rinunciando a costituirsi parte civile. La famiglia invece vuole che la Provincia di Torino sia sanzionata per fare sì che in Italia cambi qualcosa per la sicurezza scolastica”.

“Lo devo a Vito, lo devo fare – ha spiegato Cinzia Caggiani, la mamma del ragazzo – dal giorno della tragedia ho giurato a mio figlio che avrei lottato per la giustizia, ma per quella con la ‘g’ maiuscola. Come membro della commissione sull’edilizia scolastica del ministero dell’Istruzione posso dire che qualche passo è stato fatto, ma non basta e c’è moltissimo lavoro da fare. I soldi stanziati dal governo non sono assolutamente sufficienti e ogni giorno si rischia una tragedia. Nove milioni di studenti rischiano la vita tutti i giorni. E se lo Stato investisse si liberebbero posti di lavoro in Italia. Il 12 settembre andremo a Roma per presentare una proposta di legge affinche’ l’8 per mille possa essere donato per l’edilizia scolastica”.

La famiglia Scafidi non è affatto soddisfatta della sentenza di primo grado pronunciata nell’estate 2011, con cui sono stati assolti sei imputati su sette (i vari responsabili della sicurezza del Darwin o della Provincia che si sono succeduti negli anni). A dicembre inizierà il processo di secondo grado in cui Cinzia Caggiani sarà parte civile, mentre il marito Fortunato Scafidi e la sorella di Vito, Paola, porteranno avanti la causa civile. “Nel primo periodo – ha raccontato la madre di Vito ricordando la tragedia – non ci sei con la testa perché ti chiudi 24 ore su 24 nel tuo mondo con il figlio che hai perso. Poi però arriva la rabbia e la voglia di giustizia e inizi a fare un lavoro da detective: è una ricerca continua, noi vogliamo smontare la difesa sia nel civile che nel penale e tentiamo tutte le carte”.

“Non abbiamo avuto risposte – ha proseguito il padre di Vito – ci hanno solo preso in giro. Il ministro Gelmini ci disse allora che l’analisi sull’edilizia scolastica in Italia era quasi pronta e il neoministro Profumo prima dell’estate ci ha detto la stessa cosa. Quando i ragazzi entrano a scuola devono essere sicuri di poter uscire. Abbiamo avuto belle parole da tutti ma nessuno ci mette la faccia”.

“Pensiamo che il nostro caso – ha precisato l’avvocato Ambrosio relativamente alla causa civile intentata alla Provincia – abbia una grande particolarità, perché questo è un caso purtroppo unico in Italia. Vogliamo individuare una strada nuova di riconoscimento di diritto. Le tabelle del Tribunale di Milano prese come riferimento per la quantificazione dei risarcimenti riguardano danni alla persona come nei casi della colpa medica o dell’incidente stradale ma non esiste ciò che è accaduto alla famiglia di Vito: perdere un figlio mentre è a scuola. La nostra causa punta su due elementi: il difetto di manuntenzione della struttura e i controlli non fatti. La Provincia sapeva che la scuola aveva dei rischi e non ha fatto nulla, sapeva che non era a norma e non ha fatto il possibile per evitare la tragedia, che era evitabile. Quello che ha subito la famiglia è un danno quindi aggravato dalla condotta non patrimoniale, costituzionalmente differenziato. Vogliamo una lettura diversa del danno morale, che è un danno che tende a rientrare sotto profilo scientifico entro un anno – e non è il nostro caso – e non diventa una patologia e quindi danno psichico ovvero biologico. Noi chiediamo una rivisitazione perché la famiglia non può dimenticare. La responsabilità civile deve avere una sua forza di deterrenza”.

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