Milano, 1 set. (LaPresse) – Eluana Englaro. E’ questo il nome che ricorre più frequentemente scorrendo i post su Twitter dedicati al cardinale Carlo Maria Martini, morto ieri a 85 anni a Gallarate. In molti si chiedono infatti come mai la Chiesa non abbia nulla da dire sulla scelta del porporato di evitare l’accanimento terapeutico, mentre era fermamente contraria all’interruzione della nutrizione artificiale nel caso della Englaro, costretta a letto in stato vegetativo. In molti poi ricordano che la Chiesa, per decisione diretta del cardinale Camillo Ruini, negò i funerali a Piergiorgio Welby, che, cosciente, chiese e ottenne che, dopo un sedativo, che gli venisse staccato il respiratore.
COMMENTI SU TWITTER: “CHIESA INCOERENTE” – Nessuno mette in discussione la scelta di Martini, che trova anzi largo appoggio su Twitter. In molti la considerano l’ultimo atto di una vita coerente, da parte di un uomo che ha sempre mostrato attenzione per le ragioni dei laici e che si è sempre schierato con gli ultimi: gli zingari, i lavoratori sfruttati, gli immigrati, i carcerati. Ma in molti accusano la Chiesa di incoerenza: “Martini è stato coerente, era contro l’accanimento terapeutico e pro scelta di Welby. C’è da vedere la coerenza della Chiesa sui funerali”, scrive un utente che si fa chiamare ‘Uno che ride di te’. “Per chi tiene i conti: se sei un tetraplegico è eutanasia, se sei un cardinale è ‘evitare l’accanimento terapeutico’”, dice Bucknasty. “Il cardinale Martini ‘ha rifiutato ogni accanimento terapeutico’. Chissà lassù cosa ne pensa Eluana Englaro”, aggiunge Giulio Cavalli. “Il cardinal #Martini rifiuta l’accanimento terapeutico. Chapeau! Peccato che Eluana Englaro abbia dovuto subirlo pena fuoco e fulmini”, ripete il concetto Claudio Messora.
CONCIA: “LA CHIESA TROVI PACE” – Meno polemica ma sulla stessa linea Paola Concia, deputata Pd, nota esponente della comunità omosessuale italiana: “Il #cardinale_Martini se ne è andato rifiutando l’accanimento terapeutico. Un gesto umano, che riposi in pace. E che la Chiesa trovi pace”. “Il cardinal Carlo Maria Martini in punto di morte, ha rifiutato l’accanimento terapeutico. Maestro, per credenti e non, fino all’ultimo”, è l’opinione di Marco Castelnuovo. E così via, i commenti di questo tenore proseguono a lungo.
PADRE LOMBARDI: “SCELTA COERENTE CON INSEGNAMENTO CHIESA” – Sulla questione padre Lombardi, portavoce della Santa Sede, raggiunto da LaPresse, non ammette contraddizioni: la scelta del cardinale Marini, dice, è “una posizione assolutamente coerente col normale insegnamento della Chiesa” dal momento che “non c’è nessuna indicazione di dover fare diversamente”. Martini, ha ricordato padre Lombardi, “era malato di Parkinson da oltre dieci anni” e dopo aver ricevuto “tutte le cure opportune” ha compiuto una scelta che, ha detto, “trovo del tutto normale”.
CATECHISMO: “RINUNCIA AD ACCANIMENTO TERAPEUTICO E’ LEGITTIMA” – Su questo tema in effetti il catechismo della Chiesa cattolica, disponibile sul sito del Vaticano, nella parte terza, intitolata “la vita in Cristo”, spiega, al canone 2278: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”.
L’ESPERTO: “PER MARTINI FINE ERA INEVITABILE, PER ENGLARO E WELBY NO” – Ma allora perché per Englaro e Welby fu diverso? La questione, spiega Giovanni Zaninetta, medico presso la casa di cura Domus Salutis di Brescia, al sito di informazione online Linkiesta, è che per il cardinale Martini la morte era ormai inevitabile. Mentre nel caso di Englaro e Welby fu proprio l’azione di staccare il respiratore o l’alimentazione, a provocarla. Nel caso di Martini, spiega, “non si è trattato di rifiutare una terapia che in qualche modo poteva tenerlo in vita, ma ha semplicemente accettato il decorso della sua malattia, che in progressivo peggioramento, non poteva essere in alcun modo fermata”. “Il caso di Eluana fu ben diverso”, aggiunge, “perché la sua situazione era stabile e accettare di sospendere le cure significava compiere un’azione che avrebbe portato alla fine della sua vita”.
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