Roma, 10 lug. (LaPresse) – La sera del naufragio della Costa Concordia all’isola del Giglio, il comandante Francesco Schettino ha cenato con la moldava Domnica Cemortan, ma non sarebbero andati oltre l’ amicizia. Parola di Schettino, che in un’intervista, che sarà trasmessa nel corso della puntata di ‘Quinta Colonna’, in onda stasera, su Canale 5, ha dichiarato: “C’è stato molto gossip attorno a questa vicenda e l’hanno descritta come qualcosa di più di un’amica”. Domnica “è stata a cena con me – assicura – è stata assieme anche al capo commissario perché alla fine ripeto ci sono delle persone con cui vale la pena farsi due risate, nient’altro”.

“Nell’incidente non solo viene identificata la nave, l’azienda, viene identificato il comandante e quindi è normale che io debba chiedere scusa, proprio come rappresentante di questo sistema a tutti”, afferma Schettino. “Sicuramente io non posso essere felice – prosegue Schettino – per quello che è successo, il mio cordoglio, il mio affetto più sincero va alle persone che purtroppo non ci sono più”. “Il danno economico sicuramente ci sta- aggiunge Schettino i danni sono per le perdite, per le persone che sono state colpite nei loro affetti e alla fine sicuramente per l’azienda e per il comandante della nave che poi è stato vittima di tutto questo sistema”.

Schettino dice la sua verità anche sull’ accusa più infamante che può subire il comandante di una nave: l’abbandono. “Fino adesso su questa faccenda ci si è sciato dentro, si è fatto tanto intrattenimento a discapito dell’informazione”, dice l’ex comandante della Costa Concordia Francesco Schettino, a pochi giorni dal termine degli arresti domiciliari, di fronte all’accusa di aver abbandonato la sua nave. Su questo, Schettino chiede di “non fermarsi alla superficie, a quello che è stato lasciato credere”. “Io – racconta Schettino – sono sceso dal ponte 8” e la “nave si stava palesemente inclinando. Praticamente ho visto la lancia che stava sotto il cancello d’imbarco dove ho fatto una scelta, già non potevo rimanere sulla nave perché il legno era ormai scivoloso” e “creando un piano inclinato 50-55 gradi, sono stato praticamente favorito ad andare sulla lancia, non so se sono scivolato o se sono caduto, se è la nave che si è spostata, non credevo che si sarebbe dato tutto questo peso sullo scivolare, il comandante cammina e inciampa su una lancia di salvataggio. Sono solo cattiverie”.

Shettino a un certo punto, mentre si consuma il naufragio, raggiunge uno scoglio: “Io avrei voluto sorreggere la nave con le mani- assicura Schettino- onestamente, però non mi è stato possibile, l’unica cosa che ho fatto, ho preso il cellulare e ho chiamato immediatamente i soccorsi”. Ma perché non si è gettato in acqua per aiutare i passeggeri? “Quello che ho visto io è che c’erano già cinque o sei che venivano verso lo scoglio- racconta Schettino- cioè non ho visto persone che stavano affogando in acqua onestamente”.

Poi Schettino da’ la sua versione sulla telefonata con la guardia costiera nei momenti della tragedia. “Io da comandante non ho mai dato un ordine che non possa essere eseguito, cioè lui ha richiamato un dovere senza capire che non poteva essere fatto”, dice Schettino ripercorrendo la telefonata, la notte della tragedia, intercorsa con l’ufficiale della guardia costiera Gregorio De Falco, che gli intimò ripetutamente “salga a bordo”. “Il discorso – spiega Schettino – è che non aveva considerato che la nave sul lato dritto era affondata, dovevo fare 300 metri a nuoto, cioè buttarmi in acqua, fare il giro della prora, vedere la biscaggina, col cellulare da preservare, perché nel frattempo dovevo parlare con l’unità di crisi, facevo una cosa molto più seria”.

Sul famigerato inchino della nave da crociera davanti al Giglio Schettino spiega: “Io non volevo sfidare nessuno, abbiamo programmato una navigazione a mezzo miglio e basta, quindi mezzo meglio per me era una distanza accettabile per fare un saluto, altrimenti non l’avrebbero manco visto, manco sentito sto benedetto saluto”. “C’è una differenza tra un inchino e un passaggio, quello doveva essere un passaggio ravvicinato all’isola, perché – sottolinea l’ex comandante della Costa Concordia – in caso di inchino noi generalmente, si riduce la velocità , si va a distanza ravvicinata, si scelgono le carte giuste per fare l’inchino ad una certa distanza dalla terra, se fosse stato programmato un vero e proprio inchino, non sarebbe successo perfettamente niente”.

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