Roma, 18 mag. (LaPresse) – “Ancora non siamo riusciti a farci inviare i documenti consegnati dalla polizia per la formulazione dei capi d’accusa. Abbiamo provato più volte a chiedere di leggere gli atti, anche attraverso i nostri colleghi indiani ma non ci sono ancora stati forniti”. A spiegarlo è il legale Carlo Sica, dell’avvocatura di Stato, che segue la vicenda dei marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, arrestati in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori. Per ora, quindi, anche la difesa si basa sulle notizie riportate dalla stampa indiana secondo cui sarebbero stati incriminati per omicidio, tentato omicidio, azioni che hanno comportato danni e associazione a delinquere. A stupire, spiega il legale, è sopratutto quest’ultima accusa. “Sapevamo, o meglio immaginavamo, che venisse contestato l’omicidio volontario – sottolinea Sica – ma assolutamente non si era mai parlato di associazione per delinquere. Anche perché francamente non so nemmeno se è un reato contemplato dal codice penale indiano”.

Secondo il legale, quindi, si potrebbe riferire al ‘concorso’ di colpe, più che all’accezione italiana del termine. Da approfondire anche la gravità dell’accusa di omicidio che sembrerebbe generica. Nessuna sorpresa, invece, sulla localizzazione dell’incidente che per l’India sarebbe avvenuto a 20,5 miglia dalla costa. “Si tratta di acque contigue ma comunque extraterritoriali – spiega Sica – ma è lo stesso dato riportato nella prima relazione. Il codice internazionale prevede che quelle nazionali si limitino a 12 miglia, da 12 a 24 si tratta di acque extraterritoriali, ma dove si possono fare inseguimenti, dopo no. L’India, però, ha dichiarato di interesse commerciale le acque fino a 220 miglia, praticamente azzerando il codice internazionale”.

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