Trent’anni senza Di Bartolomei, simbolo di un mondo romantico

Trent’anni senza Di Bartolomei, simbolo di un mondo romantico
Foto LaPresse Torino/Archivio storicoarchivio storicoSportanni ’70Di Bartolomei AgostinoDal carattere schivo e riservato, molto lontano dai canoni classici del calciatore,[3] morì suicida la mattina del 30 maggio 1994 a San Marco, la frazione di Castellabate dove viveva, sparandosi al petto con la sua pistola Smith & Wesson calibro 38. Erano trascorsi dieci anni esatti dalla finale di Coppa dei Campioni persa dalla sua Roma (di cui era capitano) contro il Liverpool. Soprannominato “Ago” o “Diba”, si espresse al meglio come centrocampista, posizionato dal tecnico Nils Liedholm davanti alla difesa, mettendo in mostra carisma, continuità di rendimento e, soprattutto, intelligenza tattica.nella foto: Di Bartolomei su punizioneBusta N. 4924Photo LaPresse Turin/Archives historicalSport70’sDi Bartolomei Agostinoin the photo: Di Bartolomei Agostino

La leggenda del calcio italiano, ex Roma e Milan, si tolse la vita il 30 maggio 1994 a Castellabate

Trent’anni senza un idolo immortale nel cuore di tanti tifosi, non solo di quella Roma giallorossa da sempre orgogliosa di celebrare un capitano che si è fatto leggenda. Agostino Di Bartolomei a tre decadi dalla sua morte resta un simbolo di un calcio romantico fatto di cuore, grinta e polmoni, esempio di come un leader silenzioso, schivo quanto coraggioso, possa fare la differenza e lasciare un segno profondo come un solco nella storia di un club.

Protagonista dello scudetto dell’83 ma anche di una drammatica finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool (30 maggio dell’84), ‘Ago’ dieci anni più tardi si suicidò nello stesso giorno di quella ricorrenza triste per il popolo giallorosso, quasi a voler simboleggiare la fine di tutto, dei sogni delle speranze e dunque della vita stessa. Successe a San Marco, frazione di Castellabate, in provincia di Salerno, il paese di origine di sua moglie Marisa. Ago di talento ne aveva da vendere e lo dispensava con gioia, senza mai sorridere, sempre fedele al suo ruolo di uomo serio, umile e intransingente con se stesso.

Foto LaPresse Torino/Archivio storicoarchivio storicoSportanni ’70 RomaDi Bartolomei Agostino

Nel quartiere a sud di Roma dov’era nato, a Tor Marancia, e dove tirò i primi calci al pallone tutti lo ricordano come un ragazzo riservato, dalla sensibilità e intelligenza che usciva fuori dagli schemi. Dotato di un tiro potente (memorabili le sue punizioni ‘bomba’) venne chiamato alle giovanili della Roma. L’esordio in prima squadra si materializzò nella stagione 1972-1973, a poco più di diciotto anni contro l’Inter, a Milano. Allora la direzione tecnica era affidata a Manlio Scopigno.

Da lì un’ascesa costante che lo fece diventare il ‘faro’ della Roma di Nils Liedholm con cui scrisse la stagione trionfale dello scudetto ’82-’83. ‘Ago’ non era un personaggio mondano come Falcao, neppure un eroe nazional popolare come l’estroso Bruno Conti, trascinatore dalla fantasia stile ‘Brazil’. Ma per i tifosi della Sud ogni suo pensiero, ogni sua parola, era il ‘verbo’.

Dopo quella notte europea maledetta dell’Olimpico Di Bartolomei non trovo spazio nella nuova Roma di Sven Goran Eriksson che non lo vedeva punto fermo della sua squadra. E se ne andò al Nord, al Milan. E quella tifoseria ‘scippata’ del suo ‘idolo’ dava ogni volta modo di riconoscere la sua grandezza. Resta negli occhi quello striscione immenso, sintesi di un pensiero popolare: “Ti hanno tolto la Roma. Ma non la tua curva”.

Quella finale persa ‘Ago’ non la dimenticherà mai. E da allora qualcosa si spezzò. Esempio di lealtà e correttezza in campo, dopo tre stagioni al Milan passò al Cesena per poi chiudere la carriera con la Salernitana contribuendo dopo 23 anni a farle raggiungere la serie B. Il 20 settembre 2012 il suo nome venne inserito nella Hall of Fame della Roma. Una targa per lui, ‘Ago’ l’immortale.

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