Il livello tecnico, fisico e tattico della Serie A è lo specchio delle difficoltà della nazionale
E adesso, da dove ripartire? L’umiliante sconfitta con la Macedonia del Nord che ha estromesso l’Italia dai Mondiali per la seconda volta di fila ha riaperto il vaso di Pandora contenente tutti i mali del calcio italiano. Un flusso di problemi, irrisolti da tempo, che la magiche notti di quest’estate hanno nascosto e che il fracasso di Palermo ha riportato a galla. Di colpo e in faccia, a investire una Nazionale che nemmeno un anno fa saliva sul trono d’Europa.
Dal flop con la Svezia a quello del ‘Barbera’ sono passati quattro anni, ma le questioni da risolvere sono rimaste le stesse. E’ cambiato il ct, così come i vertici federali, ma l’epurazione di Ventura e Tavecchio – le vittime sacrificali designate all’indomani dell’amara notte di San Siro – non ha risolto come era prevedibile i problemi strutturali del pallone made in Italy. Il livello tecnico, fisico e tattico della Serie A è lo specchio delle difficoltà della nazionale: nessuno dei nostri club ha raggiunto i quarti di finale di Champions League, dove l’ultimo successo risale al 2010, e attualmente in corsa in Europa sono rimaste solo Atalanta e Roma. Il campionato si è impoverito l’ultima estate – basti pensare alle partenze di Lukaku, Hakimi, Donnarumma e Cristiano Ronaldo – e l’orizzonte è ancor più cupo, considerando i problemi di natura economico-finanziaria che affliggono la maggior parte delle società, alcune delle quali coinvolte anche nel caso plusvalenze fittizie.
Il miraggio a cui aveva forse creduto lo stesso Mancini era quello di poter tenere fuori la ‘sua’ Nazionale dalla mediocrità del sistema calcio nostrano. Dove i tecnici emergenti con idee nuove non mancano ma lavorano in provincia (vedi Tudor, Juric, Italiano e Dionisi), mentre le squadre in lotta per lo scudetto sono già fuori dalle coppe. Il bacino di italiani nel giro della nazionale si restringe anno dopo anno, perché – diversamente da quanto avviene nel resto d’Europa – i vivai e le formazioni Primavera sono infarcite di stranieri. I calciatori azzurri faticano ad emergere e a raggiungere l’eden della Serie A, i campioni sono pochi e rispetto a una volta scelgono l’estero, i giocatori arruolabili che giocano nei top club italiani sono sempre meno. Il ct di turno, Mancini nel caso, si ritrova così a dover fare affidamento ai vari Scamacca, Raspadori e Berardi. Che incantano a Sassuolo, ma non hanno alcun tipo di esperienza internazionale.
Arrivati a un nuovo anno zero, o forse sotto zero, del pallone, è giunto il momento di ricostruire, con una mentalità più aperta e meno all’antica. Coinvolgendo anche una classe arbitrale che troppo spesso in patria dirige in un modo per poi comportarsi in un altro nelle coppe europee. Per Fabio Capello il modello da copiare è quello tedesco. “Come determinazione, gioco in verticale e in profondità. Noi non abbiamo giocatori che aprono il gioco. Giochiamo sempre con la palla indietro e con il portiere. L’unica che in Italia ha fatto questo è l’Atalanta. In Europa bisogna giocare in un certo modo – ha evidenziato – Poi si può parlare di settori giovanili e dei tanti stranieri. Ma è un problema di mentalità e nel modo che giochiamo”. “Saremo bravi quando riusciremo a prendere le cose migliori da ogni parte – sottolinea il presidente dell’Assoallenatori Renzo Ulivieri – E’ l’obiettivo nostro, essere meticci, e lo stiamo facendo”. Per prendere appunti il tempo non mancherà: basterà sedersi sul divano a novembre e guardare gli altri giocarsi un Mondiale.
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