Diego è arrivato a Napoli come un dio, il grande talento che arrivava dal Barcellona, e si è fatto napoletano, adottato dalla città che lui ha adottato e ha fatto sua

Il D10s dal sinistro d’oro che ha trascinato il Napoli e Napoli in vetta al calcio italiano, il Pibe de oro che si è caricato sulle spalle l’Argentina per la vittoria mondiale e con la mano ha punito gli inglesi, quasi una rivincita dopo la guerra delle Falkland, l’uomo che aveva tutto e che più volte è caduto, rovinosamente e con rumore, stavolta non ce l’ha fatta: Diego Armando Maradona si è spento a sessant’anni, festeggiati nemmeno un mese fa. Doveva succedere, prima o poi, perché gli uomini muoiono. Ma la morte di Maradona è una di quelle notizie che sconvolgono il mondo, e non solo gli appassionati di calcio.

Cosa è stato Maradona per il calcio lo sanno tutti. E’ stato un talento straordinario e il primo calciatore davvero ‘pop’ nel senso di popolare, mediatico all’inverosimile in un mondo ancora sgombro dai social media. Cosa è stato Maradona per Napoli è storia altrettanto nota da tutti. Eppure non c’è casa a Partenope e dintorni che non senta questa scomparsa come un lutto privato, come la perdita di un parente, come la fine di un’epoca della propria vita. Perché all’ombra del Vesuvio nessuno ha dubbi sull’eterna disputa tra Maradona e Pelè e tutti quelli che negli anni Ottanta c’erano conoscono il giocatore argentino come si conosce un amico, uno zio, un cugino. Del resto, quella canzoncina “Maradona è megl’ ‘e Pelè” è entrata nella testa e non se ne andrà mai più. Nemmeno adesso che il Pibe ha lasciato questa terra. Non c’è una persona a Napoli e dintorni che non ricordi a memoria quei gol, che non sappia di quel sinistro magico, di quel sorriso da scugnizzo, del trio della Magica, degli scudetti, degli schiaffi tolti da faccia. Dei festeggiamenti folli in una città che non aveva mai vinto niente e che soffriva tanto. Del modo in cui solo lui riusciva a incantare la palla come se ce l’avesse legata al piede con un filo. Dei palleggi con il sottofondo di ‘Live is Life’.

Diego è arrivato a Napoli come un dio, il grande talento che arrivava dal Barcellona, e si è fatto napoletano, adottato dalla città che lui ha adottato e ha fatto sua. Quello che, corteggiato dalla Juventus, rispose “che non avrei mai potuto fare questo affronto ai napoletani perché io mi sentivo uno di loro, che non avrei mai potuto indossare in Italia altra maglia se non quella del Napoli”. Quello che, con la maglia dell’Argentina, lo stadio San Paolo ha applaudito perché era uno di lì, un napoletano, con qualunque maglia. Quello che ogni volta che è tornato in città è stato salutato con bagni di folla e lacrime di commozione. Il Napoli è Maradona e Napoli è Maradona, in un’identificazione che va oltre di sport tra il talento e la sregolatezza, il genio e l’insofferenza, la furbizia e le debolezze, il sorriso e le lacrime. C’è uno striscione famosissimo di quella notte storica del primo scudetto, il 10 maggio 1987: “Che vi siete persi”, appeso sul muro del cimitero di Fuorigrotta, a una manciata di passi dallo stadio. Ora glielo può raccontare lui.

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