Con l'accoppiata scudetto/coppa in meno di una settimana, il tecnico livornese diventa il primo a conquistare un 'double' nazionale nei cinque principali tornei europei per tre stagioni consecutive

Nella sua idea di calcio al primo posto c'è la semplicità. Un concetto che gli è stato trasmesso da Giovanni Galeone, una vita tra Udine e Pescara, specialista di promozioni in Serie A. Come spesso accade però l'allievo si rivela più bravo del maestro. E Max Allegri incarna perfettamente questo vecchio adagio, aggiungendo anno dopo anno record su record, trofei su trofei, nel suo ciclo in bianconero. Con l'accoppiata scudetto/coppa centrata in meno di una settimana a Roma il tecnico livornese diventa il primo a conquistare un 'double' nazionale nei cinque principali tornei europei per tre stagioni consecutive, nonché l'unico a vincere quattro Coppe Italia in successione.

Il titolo 2017/18, per sua stessa ammissione quello "più bello", perché arrivato al termine di un appassionante testa a testa con il Napoli, permette all'allenatore della Juventus di raggiungere con cinque trionfi in campionato (4 a Torino, uno al Milan) Marcello Lippi e Fabio Capello, due mostri sacri della panchina. Con un occhio ai sette di Giovanni Trapattoni, che detiene il record assoluto, anche se per provare a raggiungere quel primato molto dipenderà dal futuro dell'ex centrocampista dai piedi buoni – oggi verrebbe etichettato come trequartista – di Cagliari e Pescara.

Lusingato dalle sirene inglesi provenienti da Londra, sponda Arsenal, ma legato da un lungo contratto con la Vecchia Signora, nell'attesa che nei prossimi giorni vengano definiti piani e progetti per la prossima stagione. Semplicità sì, ma sarebbe riduttivo fermarsi a questo concetto, pur caro ad Allegri come rimarcato anche di recente in alcuni accesi botta e risposta con opinionisti televisivi, per raccontare i segreti di un allenatore catapultato quattro anni fa in pieno luglio in una nuova realtà tra lo scetticismo generale della piazza ma capace di fare razzia di titoli in Italia, senza dimenticare le due finali di Champions raggiunte nel 2015 e 2017 e le due rocambolesche eliminazioni negli anni pari contro Bayern Monaco e Real Madrid.

Se la palma del 'bel gioco' va al Napoli di Maurizio Sarri, i meriti di Massimiliano Allegri stanno nell'aver saputo dare motivazioni extra a un gruppo che si era già superato l'anno scorso con la vittoria del sesto titolo, impresa mai riuscita a nessuna squadra in Serie A. Dietro questo settimo sigillo poi c'è anche l'ennesima mutazione tecnico-tattica avvenuta a stagione in corso, con il passaggio dal modulo 'a cinque stelle' (4-2-3-1) a un più granitico 4-3-3 – viste le difficoltà difensive dei primi mesi – con l'inserimento a centrocampo di Matuidi, per una Juve forse meno spettacolare ma di certo più compatta ed equilibrata tra i reparti. Una scelta all'insegna di un principio ben preciso: cambiare e cambiarsi, senza fissarsi su un dogma in particolare ma adattando la propria squadra in base all'avversario e al momento della stagione. Durante l'anno Allegri ha rinunciato a turno, anche in partite importanti, a Higuain (finale di Coppa Italia), Dybala (ritorno contro l'Inter) e Mandzukic, tenendo sulle spine tutto il gruppo e dimostrando di non guardare né al nome né alla 'storia' di un calciatore al momento di stilare l'undici titolare. Equilibrio nei momenti caldi dell'anno, gestione della rosa – anche con alcune decisioni di polso – e capacità di plasmare la sua Juve sempre e comunque, unendo guizzi tattici a un'ottima lettura delle partite in corso d'opera, hanno portato al poker di scudetti e di Coppa Italia. Forse alla fine è proprio il binomio Juve/Allegri ad aver reso tutto così semplice.

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