La nazione guidata da Nicola Sturgeon vuole "proteggere il suo posto in Europa"

Il giorno dopo il terremoto del referendum sulla Brexit, la pressione su Londra continua a salire. La Scozia ha accelerato le sue richieste di avviare "subito i colloqui" con l'Unione europea per proteggere "il suo posto in Europa", ricordando che "un secondo referendum per l'indipendenza scozzese da Londra è altamente probabile". Più di due milioni di persone hanno firmato intanto, in un solo giorno, una petizione online per chiedere che sia indetto un secondo referendum sulla Brexit.

Intanto, sono iniziate le riunioni dei leader europei per discutere del 'sisma' che la consultazione causata dal premier David Cameron ha causato nell'Ue. I ministri degli Esteri dei Paesi fondatori dell'Ue si sono incontrati a Berlino e i messaggi del francese Jean-Marc Ayrault e del tedesco Frank-Walter Steinmeier hanno fatto eco all'appello del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker: i negoziati per l'uscita devono iniziare subito. I colloqui proseguiranno, mentre stasera il premier Matteo Renzi sarà a Parigi per incontrare il presidente François Hollande e martedì e mercoledì la questione sarà discussa al Consiglio europeo. Nel secondo giorno, il vertice sarà per la prima volta a 27.

STURGEON: SUBITO COLLOQUI SCOZIA-UE. La Scozia chiederà di aprire subito un tavolo con l'Ue per "proteggere il suo posto in Europa", ha annunciato la prima ministra scozzese, Nicola Sturgeon, dopo un incontro con il suo gabinetto, sottolineando che "è sul tavolo" la legge per un eventuale secondo referendum per l'indipendenza. Gli scozzesi hanno votato al 62% per restare nell'Ue e ora reagiscono con rabbia, così come ha fatto l'Irlanda del Nord che già ieri ha annunciato tentativi per unirsi all'Eire. Nei prossimi giorni Sturgeon istituirà un panel di consulenti esperti in finanza, diritto e diplomazia per analizzare le alternative.

FONDATORI A BERLINO: LA SPINTA SUI NEGOZIATI. I tempi dell'uscita del Regno Unito dall'Ue sono legati ai negoziati con Bruxelles e gli Stati membri, come previsto dall'articolo 50 del Trattato di Lisbona, che regola il recesso dal blocco. Un territorio inesplorato, perché la clausola di recesso sinora non è mai stata utilizzata. Cameron ieri ha annunciato le dimissioni a ottobre, con l'intenzione di lasciare al suo successore l'incarico di invocare la clausola di recesso. I negoziati "devono iniziare subito", "c'è urgenza perché in gioco ci sono gli interessi dei britannici e degli europei", ha detto il francese Ayrault a Berlino. La "responsabilità è di Cameron", ha aggiunto, che deve dare il via ai colloqui e assumersi la responsabilità delle conseguenze della convocazione del referendum. Steinmeier ha ribadito: il processo di uscita "deve essere avviato il più presto possibile, per poterci poi concentrare sul futuro dell'Europa". L'italiano Gentiloni ha sottolineato invece che "una delle risposte che gli europei aspettano, e le aspettano per dare una prospettiva al futuro dell'Europa, riguarda la capacità di politiche comuni sull'immigrazione", su cui Roma si aspetta "decisioni importanti nel prossimo Consiglio europeo". In una intervista alla tv tedesca Ard, Juncker aveva chiesto l'avvio immediato dei negoziati e sottolineato: 'Non è un divorzio amichevole, ma dopotutto non è stata esattamente una affiatata storia d'amore".

CORBYN CONTESTATO MA NON LASCIA. Jeremy Corbyn ha risposto promettendo di restare alla guida dei laburisti, a chi lo ha contestato per come ha gestito la campagna a favore della permanenza. "Sì, sono qui", ha risposto quando gli è stato domandato se si ricandiderebbe se dovesse essere nuovamente scelta la leadership del partito. La sua guida dopo il referendum sulla Brexit è stata infatti messa in dubbio dalla mozione di sfiducia promossa da alcuni deputati laburisti. "Il referendum ha rivelato una Gran Bretagna molto divisa", ha detto Corbyn, aggiungendo che ora nei negoziati il governo dovrà "agire per stabilizzare l'economia, proteggere il lavoro, le pensioni e i salari. Il Labour non permetterà alcuna instabilità che sia fatta pagare ai lavoratori di questo Paese".

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