Una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Ucraina. E’ la nuova iniziativa di Papa Francesco, dopo quella indetta per il 26 gennaio scorso, che è anche un appello al popolo, di credenti e non credenti, perché “all’insensatezza diabolica della violenza, si risponde con le armi di Dio”. Domani a Roma intanto, dalle 15 alle 17, davanti alla sede dell’ambasciata russa è attesa una manifestazione dell’Associazione Cristiana Ucraini in Italia.
Il monito del Papa va soprattutto ai leader, a chi ha responsabilità politiche, perché “facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra, il padre di tutti non solo di qualcuno, che ci vuole fratelli e non nemici”.
“Prego tutte le parti coinvolte – dice al termine dell’udienza generale – perché si astengano da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni, destabilizzando la convivenza tra le nazioni e screditando il diritto internazionale”. Francesco confessa il “grande dolore nel cuore” per il peggioramento della situazione. Nonostante gli sforzi diplomatici delle ultime settimane, osserva, “si stanno aprendo scenari sempre più allarmanti. Come me, tanta gente in tutto il mondo sta provando angoscia e preoccupazione. Ancora una volta, la pace di tutti è minacciata da interessi di parte. La regina della pace preservi il mondo dalla follia della guerra”.
Era il 14 febbraio, a 48 ore da quello che era stato annunciato come il ‘giorno dell’invasione russa’, il cardinale segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, aveva chiamato Sviatoslav Schevchuk, arcivescovo maggiore di Kiev, per esprimere la vicinanza alla Chiesa cattolica in Ucraina e la solidarietà alla popolazione del Paese “in questo difficile momento di escalation del conflitto”.
E’ dall’inizio che sulla questione il Vaticano cammina su un filo sottile, per non rischiare di spezzare il dialogo tra il Pontificato e il Patriarcato di Mosca. Sul cammino dell’unità dei cristiani Francesco ha lavorato così tanto che nel 2016 è riuscito a ottenere uno storico incontro con Kirill all’Havana. Lo stesso Bergoglio ha più volte espresso il desiderio di visitare la Russia per incontrare il patriarca. Il 6 dicembre, nella conferenza stampa sul volo da Atene a Roma aveva detto di essere disposto ad andare a Mosca: “Per dialogare con un fratello non ci sono protocolli, un fratello è un fratello”. Allo stesso tempo, però, il Pontefice non può trascurare la popolazione ucraina, verso la quale ha sempre rivolto lo sguardo.
Il riconoscimento della Russia delle province di Lugansk e Donetsk nel Donbass, denuncia ‘Aiuto alla Chiesa che Soffre’, “hanno causato numerose violazioni della libertà religiosa”. La fondazione pontificia parla di detenzioni e imprigionamenti, torture, confische di proprietà, incluse chiese e sale per incontri, aggressioni fisiche e minacce di violenza, atti di vandalismo, multe e restrizioni alle attività missionarie, alle funzioni religiose, alle cerimonie, ai raduni, e il divieto di formare gruppi religiosi pacifici. Tra le comunità religiose più colpite ci sono la Chiesa ortodossa dell’Ucraina, la Chiesa greco-cattolica ucraina, i cristiani protestanti e i Testimoni di Geova. La Chiesa mormone e i cristiani pentecostali hanno subìto una serie di vessazioni. I leader religiosi che svolgono le proprie attività nonostante non si siano registrati subiscono molestie e persecuzioni. Prima dell’occupazione russa della Crimea, nella penisola operavano circa 50 organizzazioni religiose; nel 2019 il loro numero era sceso a 9.