Napoli, 14 gen. (LaPresse) – Dalle indagini è emerso come, pur essendo stata sensibilmente intaccata nel corso degli anni da varie operazioni, “cosa nostra” agrigentina sia ancora pienamente operante, dotata di ingenti disponibilità economiche e di numerose armi. Sono stati documentati collegamenti tra gli associati detenuti e gli ambienti criminali esterni, con il sistematico utilizzo di telefoni da parte degli affiliati o di soggetti contigui al sodalizio durante i rispettivi periodi di detenzione. Tra gli episodi ricostruiti nel corso delle indagini spicca quello in cui i sodali hanno costretto l’amministratore di una società aggiudicataria dei lavori di raccolta e di trasporto di rifiuti nel comune di Agrigento ad assumere quali operai almeno 5 persone a loro legate per vincoli familiari o comunque di loro fiducia. In un’altra circostanza hanno costretto il legale rappresentante di una società di carburanti ad interrompere il rapporto lavorativo con un dipendente per sostituirlo con un’altra persona a loro gradita. Ancora, hanno dato fuoco a due autocarri intestati a una ditta di costruzioni, hanno costretto l’amministratore della società aggiudicataria dei lavori di riqualificazione di Piazza della Concordia del quartiere di Villaseta ad assumere quale operaio una persona a loro gradita; inoltre hanno costretto anche la ditta aggiudicataria in subappalto degli stessi lavori ad assumere operai a loro graditi. Sono stati poi ricostruiti due atti intimidatori, il primo con l’esplosione di colpi di arma da fuoco contro la saracinesca di una rivendita di bevande a Porto Empedocle e il secondo con l’esplosione di diversi colpi di pistola contro la porta d’ingresso dell’abitazione di un uomo di Agrigento, “colpevole” di aver avuto un litigio con il figlio di uno dei sodali.

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