Ghali si racconta: “La musica è un’arma, se non la usi bene è un casino”

L'artista intervistato nel nuovo numero di Rolling Stone

C'era un tempo in cui Ghali Amdouni mangiava focacce unte dalle parti di Lambrate, e nessuno lo riconosceva. Ce l'ha fatta senza mai fermarsi e in autunno si prenderà il Mediolanum Forum di Assago. Ghali sorride dalla copertina di Rolling Stone, in edicola dal 7 giugno. E fa sorridere pensare che l'artista più politico che abbiamo oggi nel nostro Paese sia proprio lui, nato in Italia da genitori tunisini, che di politica non vuole parlare, ma lascia che siano le canzoni a farlo. Ad intervistarlo Antonio Dikele Distefano – scrittore di ventisei anni che ha da poco pubblicato il suo quarto romanzo (Non ho mai avuto la mia età) – amico di Ghali, suo ex coinquilino e socio insieme ad Amed, manager dell'artista, di Sto Records, l'etichetta discografica indipendente da pochi mesi in licenza di distribuzione Warner. Ghali e Antonio si sono sintonizzati sulla stessa frequenza, quella di una conversazione intima e appassionata sulla musica, il successo, la visione, i figli, la vita tutta.

Ora sei grande, e la nuova missione è il concerto al Forum di Milano. Pensi che ce la farai anche stavolta? Credi che ci sia un Dio che ti ha messo la mano sulla testa?

E' come se stavolta Dio mi avesse detto: 'Senti, io quello che dovevo fare l'ho fatto. Sai camminare, hai i tuoi mezzi, vai, adesso tocca a te'. Si, penso di farcela".

Qualcuno ha detto che dove c'è musica non può esserci niente di cattivo. Tu oggi sei amato da tantissimi ragazzi, molti ti imitano anche il taglio di capelli. Non è facile parlare a loro, bisogna essere consapevoli e responsabili.

"Si, mi faccio un sacco di paranoie pensando a cosa possano pensare gli altri ascoltandomi. Ci sono tantissimi ragazzini tra i miei e io ci tengo a sta roba. La prendo sul serio. Quando hai un'arma come questa in mano, se non la usi bene poi è un casino. Prima di arrivare al mio pubblico io penso a casa mia, a cosa direbbe mia madre. O a mio zio, che prende tutto alla lettera. Penso alla mia gente, a chi sta in cassa al bar quando bevo il caffè".

Nel brano Lacrime parli a un figlio immaginario. Sicuramente un giorno diventerai padre, e con il successo la tua vita è cambiata. Cosa farai per fargli capire la Baggio in cui sei cresciuto?

"La situazione che troveranno i miei figli sarà sicuramente migliore di quella che ho vissuto io, ci sarà una casa più grande, potranno invitare più amici fin da piccoli. Avranno un padre che ha imparato da una madre maestra. Cercherò di fargli conoscere le mie origini e, anche se dovessero nascere in una situazione di agio, come spero, gli farò scoprire il mio passato, da dove vengo. Li porterò in Tunisia, gli farò conoscere i miei parenti. Li farei anche crescere in quartiere (a Baggio), ma forse dovrò spostarmi, e penso: che scuola frequenteranno? Secondo me è importante la scuola pubblica, per tutti. Io non mi sono mai sentito escluso. Quando mi escludevano, alla fine, ero io che non volevo essere come loro. Paradossalmente avevo le idee più chiare da bambino che adesso, è assurdo. Non ho mai pensato fosse uno svantaggio".