È uscito oggi 'Amore, lavoro e altri miti da sfatare', il nuovo album di Lo Stato Sociale, "la band di cinque ragazzi bolognesi che fanno canzonette", come si definiscono ironicamente Albi, Bebo, Lodo, Carota e Checco. L'attesissimo album arriva a due anni di distanza dal loro ultimo successo con 'L'Italia peggiore'. 'Buona sfortuna' è il titolo del nuovo singolo, che segue il successo di 'Amarsi male'. Il disco è frutto di 10 mesi di lavoro e raccoglie i sentimenti e le parole del vissuto della band.
Nell'album sono ancora più presenti le voci dei cinque membri del gruppo, con una o più canzoni da protagonisti, e le molte influenze musicali sono sintetizzate nel classico caleidoscopio di generi; dal rock alla dance passando per il pop. LaPresse ha incontrato il gruppo, o meglio il 'collettivo' come preferiscono chiamarsi loro…
Perché amore e lavoro sono due miti da sfatare, e quali sono gli altri?
"Negli ultimi anni sono cambiate le cose e anche il significato iconico delle parole. L'amore e il lavoro sono i due grandi temi dell'Occidente, che non se la sta passando benissimo. Gli altri miti da sfatare? Ci sono tanti altri aspetti nella vita e c'è bisogno di riconsiderare da ogni punto di vista quello che significano le parole".
A proposito di parole, perché vi definite un collettivo e non una band?
"Perché ogni tanto suoniamo, ogni tanto no. Sono sinonimi collettivo e gruppo, ma non è la stessa cosa. Noi facciamo questa cosa, in questo momento, perché ci va di farla. Ma non è detto che la prossima volta faremo un disco. In passato, per esempio, abbiamo fatto un libro ed era collettivo. L'hanno scritto due di noi, ma l'abbiamo firmato tutti".
La parola 'collettivo', però, ha anche un significato più politico…
"Sì, è vero. Il collettivo rimanda più fortemente all'idea che le cinque energie messe in campo sono equivalenti. Non c'è uno che traina, non c'è leaderismo".
Infatti, in questo album cantate tutti. Come lo avete deciso?
"Canta anche chi non sa cantare", scherzano. "E' venuto naturalmente, l'abbiamo sempre fatto. Viviamo una in società che tende a individuare in una persona il mondo che rappresenta. Noi invece siamo una rappresentazione varia. Questo può spaesare ma è quello che siamo e avevamo la volontà di farlo vedere". "Ora sembro un trombone – dice Carota – ma ha senso. Cito Aristotele. La differenza fra la processione e il teatro è che non c'è uno che guida il coro, ma c'è uno che risponde, poi un altro e un altro ancora. Si crea un collettivo con voci diverse che creano il dramma. Ed è un passo avanti rispetto alla processione, non me ne vogliano i religiosi. Noi stiamo cercando di fare questo".
E state anche organizzando un concerto, il 22 aprile, al Mediolanum Forum di Assago. Come vi sentite all'idea di affrontare un grande pubblico?
"Stiamo benone. Stiamo facendo le prove. Siamo un po' agitati, ma ci sta. Dobbiamo ideare uno spettacolo che sia il più bello possibile per la gente eh viene a vederci. Quello che ci stressa sono le prove, perché ognuno ha un'idea diversa".
Dopo Milano, avete in mente un tour?
"Speriamo di sì, perché è talmente faticoso fare le prove… tifate per noi perché ci siano altri concerti".