Milano, 10 nov. (LaPresse) – Ritmi in levare con qualche accenno reggae, percussioni incalzanti e sincopate. Testi anti-tradizione: in discussione il matrimonio, il tabù dell’omosessualità, le operazioni della polizia. Sono i Mashrou’ Leila, gruppo indie rock libanese, che ieri ha suonato al Magnolia di Segrate, nel milanese. Un fenomeno che ha conquistato il mondo, arrivando persino a guadagnarsi la copertina di Rolling Stones Middle East, prima volta per una band araba.
Il cantante, Hamed Sinno, dichiaratamente gay, non fissa il pubblico ma lo sbircia con sguardo obliquo mentre si muove sinuosamente intorno al microfono. Look total black, maglietta asimmetrica e pantaloni di tela, sembra un po’ un Freddy Mercury arabo. E’ un gruppo singolare, a partire dal pubblico. La lingua che si sente più parlare al di qua delle transenne è l’inglese. E quando dal palco il cantante chiede in quanti parlino l’arabo, due terzi alzano la mano. Cinque ragazzi, che si sono ritrovati a suonare tra una lezione e l’altra dell’Università americana di Beirut. Sessioni notturne: il nome, Mashrou’ Leila, significa proprio ‘progetto notturno’. Chitarra, basso, batteria e violino, in qualche brano trova spazio anche una clavietta, con la quale Sinno introduce la canzone a mo’ di Doors.
Tre album all’attivo: Mashrou’ Leila, del 2009, El Hal Romancy, del 2011, e l’ultimo, Raasuk, dell’anno scorso. Il 15 novembre saranno a Londra, dove il loro concerto è già sold out alla Royal Albert Hall. In questi giorni sono stati in Italia, il 6 al teatro Candiani di Mestre, il 7 al Barezzi festival di Parma, e ieri, dopo essere stati ospiti a ‘Quelli che il calcio’, hanno suonato a Segrate.
Il chitarrista, Firas Abu-Fakher, capelli ispidi, occhiali tondi, maglietta attillata e foulard intorno al collo, ci ha concesso qualche minuto alla fine del concerto. Ecco cosa ci ha raccontato.
Due terzi del pubblico parlano arabo, sembra che voi vi rivolgiate a una nuova generazione di arabi in Europa.
“Lasciami dire che quando abbiamo iniziato non avevamo intenzione né idea di quello che sarebbe successo con la nostra musica. E poi ci siamo ritrovati a essere popolari con molti giovani in tutto il mondo, sia del mondo arabo che all’esterno del mondo arabo. Troviamo ai concerti molte persone originarie del mondo arabo, libanesi, egiziani, e molti che studiano arabo, o studenti che studiano politica del Medioriente. Molti parlano arabo pur non essendo arabi, questo è interessante”.
Nei vostri testi toccate molti temi politici.
“Quando scriviamo non pensiamo a temi politici, pensiamo a quello che viviamo a Beirut, come persone di 26 anni che vivono quella città. Beirut è una città molto politica, il Libano stesso è un Paese molto politico. Ogni atto che compi, come avere un certo abbigliamento o meno, è già di per sé una affermazione politica. Noi parliamo della nostra vita, di quello che siamo”.
E chi siete?
“Siamo persone che cercano di fare la propria musica in arabo, una musica diversa da quella promossa dall’industria discografica. Nel mondo arabo c’è una industria pop molto forte, mentre il mondo delle band, della musica indie o underground, è molto debole. Perciò stiamo tentando di cambiare un po’ questa dinamica. Le pop star parlano sempre dell’amore perfetto e della vita perfetta. Pubblicano canzoni che non hanno nulla a che vedere con quello che succede davvero nelle strade. Noi stiamo cercando di cambiare questo”.
Qualcuno vi definisce un gruppo arabo occidentale.
“Abbiamo molte influenze dal mondo occidentale. Ma anche la musica araba classica ci parla molto, del Libano, dell’Oriente. Onestamente, nel mondo arabo, non è molto diffusa l’idea delle band. Perciò è stato difficile all’inizio, le persone si chiedevano quale fosse il senso di fare un gruppo. Nel mondo arabo i poeti scrivono i testi, i musicisti scrivono la musica, qualcun altro registra e il cantante deve solo cantare. Noi facciamo tutto, per le persone era molto strano”.
Il vostro cantante è gay. Quanto è importante per la vostra identità come band?
“I media hanno dato molta attenzione a questo ma per noi è qualcosa di molto normale, qualcosa che avviene molto naturalmente nella vita. Alcuni amano le donne, altri amano gli uomini. Siamo tutti amici, Sinno è uno dei miei amici più importanti. Per noi non è una grande questione, ma immagino che nel mondo arabo comportarsi in modo normale rispetto a questo fatto è un po’ strano. A molti media piace concentrarsi su questo aspetto, per noi è semplicemente normale”.
Avete scritto anche una canzone d’amore gay.
“In arabo, quando scrivi una poesia d’amore, la scrivi al maschile anche se ti rivolgi a una donna. Ti rivolgi sempre come a un ‘lui’. E’ una forma di eleganza non rivolgersi direttamente alla donna e farlo invece in maniera indiretta. Noi abbiamo fatto lo stesso, ma in effetti noi intendevamo proprio un uomo. E’ divertente, sfruttiamo questi aspetti dell’arabo che ti fanno riflettere”.
In questo periodo avete un tour fitto di date.
“Siamo stati a Parigi e in Svizzera. Domani andiamo in Marocco, e poi a Londra, al Cairo, Istanbul, e poi torniamo a Beirut. Siamo stati a Venezia, ma non abbiamo visto nulla della città, e siamo stati anche a Parma. Sarebbe bello avere più tempo per vedere questi posti. Ma ci stiamo divertendo molto”.