Studio su mortalità precoce rockstar: i solisti muoiono più spesso

Liverpool (Regno Unito), 20 dic. (LaPresse/AP) – Il rock’n’roll non morirà mai, ma è un’attività pericolosa, specie se affrontata in solitudine. Un nuovo studio, intitolato ‘Dying to be famous’ conferma che i musicisti rock e pop muoiono prematuramente più sovente rispetto alla popolazione in generale, e una morte prematura è due volte più probabile per i musicisti solisti che per i membri della band.

La ricerca è stata pubblicata oggi sulla rivista online BMJ Open. I ricercatori della John Moores University di Liverpool hanno studiato 1.489 musicisti nordamericani ed europei che rientrano nei generi più maintream, ovvero pop e rock, punk, rap, R&B, elettronica e new age che sono diventati famosi tra il 1956 e il 2009, analizzando le relazioni tra fama e mortalità precoce e valutando come tali legami cambino sul tipo di ruolo (solista o membro di una band), la nazionalità e se la causa della morta sia legata con esperienze precedenti al raggiungimento del successo, dall’infanzia in poi.

I ricercatori hanno trovato che “col passare del tempo dal raggiungeimento della fama, la mortalità delle stelle del rock e del pop aumenta rispetto a quella della popolazione generale. I maggiori incrementi riguardano le stelle nord americane con una carriera da solista”. Il ricercatore Mark Bellis ipotizza che potrebbe essere perché le band forniscono “un meccanismo di sostegno reciproco come fattore di protezione” che permette di sopravvivere allo stress della fama.

Coloro che hanno raggiunto il successo dopo il 1980 hanno tassi di sopravvivenza migliori. Inoltre, non solo le star nordamericane hanno maggiori probabilità di morire prematuramente rispetto a quelle inglesi, ma il tasso mortalità degli artisti europei, se sopravvivono a 25 anni di fama, tende a migliorare. “Le ragioni per questo potrebbero – afferma Bellis – comprendere esperienze diverse di fama (come l’esposizione a fattori di rischio e a fattori di protezione come il supporto di professioni), carriere artistiche più lunghe con reunion tour, variazioni all’assistenza sociale e sanitaria”. Tuttavia, prosegue lo studio, “molta della mortalità precoce resta nascosta ai fan, che possono avere familiarità con l’impatto acuto di alcole e droghe (come nel caso di Amy Winehouse) ma potrebbero non riconoscere l’impatto o i rischi a lungo termine sulla salute fisica o mentale”. Nonostante questi collegamenti siano ben stabiliti anche dopo che l’uso di una sostanza cessa, raramente se ne discute quando una star muore prematuramente nella mezza età”.

Per le star decedute, la causa di morte più probabile per chi ha avuto esperienze infantili avverse è l’abuso di sostanze o di comportamenti rischiosi. “Perseguire una careira come musicista rock o pop può essere stessa una strategia rischiosa e attraente per coloro che sfuggono da un’infanzia di abusi, di privazioni o disfunzionale – si legge nello studio – di conseguenza un’industria con una concentrazioni di individui che soffrono di rischi alla salute acuti e a lungo termine non è forse inaspettata. Tuttavia, la considerazione delle esperienze infantili mette in discussione se le risorse quasi illimintate in età adulta possano annullare gli effetti negativi dell’infanzia, o se tali risorse possano alimentare la predisposizione a comportamenti a rischio”.

Lo studio conclude affermando che non va sottovalutata l’influenza positiva e negativa che le rock e pop star sulla popolazione. “Mentre le popstar hanno vaste basi di fan da decenni, negli ultimi anni questo rapporto è passato da passivo ad attivo, con le star che ora sono in grado di interagire direttamente cn i fa attraverso i social media, aumentando il senso di connessione e forse la loro influenza”.