Roma, 15 nov. (LaPresse/AP) – “Per i nostri capi di governo, la cultura è qualcosa di meno importante, meno necessaria, soprattutto in tempi di difficoltà economiche. Ma un popolo senza cultura è un popolo che perde la propria identità. Non abbiamo ancora raggiunto quel punto, ma il pericolo c’è”. Ne è certo Riccardo Muti, che ne ha parlato in un’intervista con l’Associated Press in un salotto privato del Teatro dell’Opera di Roma, dove dirigerà il ‘Simon Boccanegra’ di Giuseppe Verdi in apertura di stagione martedì 27 novembre. Il maestro, che per quasi venti anni è stato direttore musicale del Teatro alla Scala di Milano, è preoccupato che la crisi finanziaria che sta colpendo gran parte del mondo rischi di impoverire non solo le casse pubbliche, ma anche gli enti culturali, i cui bilanci, spesso magri, anche in periodi di congiuntura favorevole, sono tra le più grandi vittime in molti paesi. E per Muti è a rischio molto di più che il silenzio delle sale da concerto e l’oscuramento dei teatri: il direttore teme anche la perdita dell’identità dei popoli.
Ci sono alcuni raggi di luce per il maestro, che ha parlato con entusiasmo del suo attuale ruolo di direttore musicale della Chicago Symphony Orchestra (“amore reciproco”) e sul futuro della musica, che ha predetto che unirà le persone in tutto il mondo. Mentre in Europa si lamenta che le richieste della Germania portano i paesi più in difficoltà dell’eurozona a tagliare la spesa pubblica fino all’osso, Muti ha detto che la Germania ha trovato la formula giusta per la gestione della cultura. Ci sono stati tagli di bilancio per le arti in gran parte d’Europa, “ma non in Germania”, ha detto Muti, aggiungendo che la Filarmonica di Berlino, dove è stato spesso un direttore ospite, non ha sofferto di colpi d’ascia alle sue risorse. “I tedeschi capiscono più degli altri che la cultura non è solo un benessere spirituale, ma quando è utilizzata bene, quando è valutata, porta benessere economico”, ha affermato Muti.
Questa è una nota che Muti ha già suonato in precedenza. Nel marzo 2011, appena recuperate le forze dopo l’intervento che lo ha portato all’impianto di un pacemaker, Muti ha aperto con il ‘Nabucco’ di Verdi al Teatro dell’Opera di Roma, e nell’occasione aveva lamentato i tagli in bilancio alla cultura da parte del governo dell’allora premier Silvio Berlusconi.
Negli Stati Uniti, le orchestre di tutto il paese si trovano in difficoltà a causa dell’economia che esige il suo prezzo sul mondo della musica classica. I dirigenti d’orchestra si lamentano di vendite di biglietti basse e di perdite di supporto da parte di aziende e privati. L’orchestra sinfonica di Chicago a settembre ha scioperato causando l’annullamento di uno spettacolo due ore prima dell’inizio. Muti ha rifiutato di farsi coinvolgere nelle controversie di lavoro delle orchestre americane. “Non do giudizi sui paesi in cui sono ospite”, ha detto Muti, che nel 2008 ha firmato un contratto quinquennale con l’Orchestra sinfonica di Chicago e dal 2010 ne è direttore musicale.
Tuttavia Muti ha esortato gli statunitensi a considerare la musica e le altre arti “un patrimonio che deve essere conservato e portato il più possibile ai vari livelli della società. Non è elitarismo”. E magari un migliore trattamento di musicisti, con retribuzioni corrette, potrebbe anche aiutare a migliorare l’ascolto, ha aggiunto Muti con un sorriso malizioso. “Mi auguro che i musicisti in America possano sempre trovare quella dignità e la felicità che nasce da una migliore situazione economica”, ha detto il maestro. “Se si sta bene, si suona bene. No, si suona anche meglio”. Probabile che la sua esortazione sia rivolta anche al di là dei confini degli Stati Uniti.
Muti si è lamentato che la musica classica sia talvolta chiamata “intrattenimento”. “Calcio e sport sono di intrattenimento. Non è possibile chiamare la Nona Sinfonia di Beethoven o un’opera di Shakespeare ‘intrattenimento’. Non è intrattenimento. È cultura”.
Muti ha intonato le famose battute della Quinta Sinfonia di Beethoven, quindi ha notato che “secoli fa avrebbero potuto cantare questo”. “La musica che viene scritta oggi non è qualcosa che si possa portare a casa e cantare”, ha aggiunto, citando come eccezioni i Beatles, un po’ di Madonna, Barbra Streisand. Ma ha sottolineato che non vuole essere “cinico” e ha espresso ottimismo circa la musica che deve essere ancora scritta.
Muti è particolarmente noto negli Stati Uniti, dove ha ottenuto riconoscimenti importanti con l’Orchestra di Philadelphia. La sua casa all’estero attualmente è a Chicago, di cui elogia l’orchestra per la sua “miscela di virtuosità e sensibilità” e la considera una delle miglior al mondo, insieme alle orchestre filarmoniche di Berlino e Vienna. È innamorato anche della stessa Chicago, che ritiene architettonicamente “la più bella città degli Stati Uniti”, con quella “luce che viene dal nord, dal lago, una luce brillante” e la sua gente “forte e cordiale”.
Se Chicago è così soddisfacente, come mai è rimasto tanto a lungo alla Scala, da cui si è dimesso nel 2005, in una controversia che ha posto fine a quasi due decenni di direzione dell’orchestra? Muti ha fatto riferimento al “mio amico, Jimmy Levine”, intendendo James Levine, uno dei maggiori direttori viventi, che ha diretto l’orchestra della Metropolitan Opera di New York per circa 40 anni. Negli Stati Uniti, ha detto, “è possibile. Qui, abbiamo un mondo più drammatico, più polemico. Qui, quando si raggiungono i 15 anni, è il massimo”, ha aggiunto, ripensando forse ai 19 anni passati alla Scala. Ma, cauto a entrare in qualsiasi controversia, Muti ha eluso una domanda circa la serata inaugurale della stagione alla Scala, che aprirà con il ‘Lohengrin’ di Richard Wagner e non con un’opera di Verdi, così rappresentativo per il teatro milanese. Il prossimo anno ricorre il 200esimo anniversario della nascita di entrambi i compositori. “Erano tutti e due giganti – ha detto Muti, alzandosi dal divano per scendere nel golfo mistico del Teatro dell’Opera per guidare l’orchestra in una prova. “Hanno fatto l’errore di essere nati nello stesso anno. E’ colpa loro”, ha aggiunto con un luccichio negli occhi.