In 10 anni aumenta del 37% la sopravvivenza ai tumori: ma con la pandemia crollano gli screening

Nel 2020 nel mondo sono stati stimati quasi 20 milioni di nuovi casi di cancro

Nel 2020 nel mondo sono stati stimati quasi 20 milioni di nuovi casi di cancro. Oggi in Italia sempre più pazienti riescono a vincere la propria battaglia: sono più di 3,6 milioni, il 5,7% dell’intera popolazione, i cittadini vivi dopo la diagnosi di tumore, con un incremento del 37% rispetto a 10 anni fa. Almeno un paziente su quattro, quasi un milione di persone, è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e può considerarsi guarito. “L’Italia è tra i primi Paesi in Europa nella cura delle malattie tumorali, se ci si ammala di cancro si ha un’aspettativa di vita più alta della media degli altri Paesi europei. Lo dobbiamo alle attività di prevenzione e ai progressi della scienza, oltre che alla qualità del nostro personale sanitario. Oggi più che mai è evidente che prendersi cura del nostro Paese vuole dire continuare a investire sul Servizio sanitario nazionale e sulla ricerca scientifica”, rimarca il ministro della Salute Roberto Speranza in occasione della Giornata mondiale contro il cancro.

I risultati, ottenuti grazie a terapie sempre più efficaci e alle campagne di prevenzione, sono ora messi a rischio dalla pandemia. Da tempo gli specialisti lanciano l’allarme per lo stop a molti esami seguito all’emergenza coronavirus. Nei primi nove mesi del 2020 sono stati eseguiti oltre due milioni di esami di screening in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, che si traducono in una netta riduzione delle nuove diagnosi di tumore della mammella (2.793 in meno), del colon-retto (1.168 in meno) e delle lesioni, che possono essere una spia di quest’ultima neoplasia (oltre 6.600 adenomi avanzati non individuati) o del cancro della cervice uterina (2.383 lesioni CIN 2 o più gravi non diagnosticate). “Se la situazione si prolunga, diventa concreto il rischio di un maggior numero di diagnosi di cancro in fase avanzata, con conseguente peggioramento della prognosi, aumento della mortalità e delle spese per le cure”, avverte Giordano Beretta, presidente nazionale Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e responsabile oncologia medica Humanitas Gavazzeni di Bergamo.

Il ritardo diagnostico accumulato si sta allungando ed è di 4,7 mesi per le lesioni colorettali, di 4,4 mesi per quelle della cervice uterina e di 3,9 mesi per carcinomi mammari. “Sono le conseguenze indirette della pandemia – sottolinea Beretta -. Queste latenze e le relative lesioni non individuate dipendono sia dal minore numero di persone invitate che dalla minore adesione da parte della popolazione durante la pandemia, per timore del contagio. L’utilizzo dei dispositivi di protezione, l’intensificazione delle procedure di sanificazione e la necessità di mantenere il distanziamento fisico anche nelle sale di attesa hanno dilatato il tempo necessario tra un esame di screening e l’altro, con conseguente riduzione del numero di sedute disponibili. Inoltre, in diversi contesti, già in epoca pre-Covid il personale allocato ai programmi di prevenzione secondaria era appena sufficiente a svolgere l’attività di base. E, in alcune regioni, il personale, che durante la prima ondata del virus era stato riconvertito a supporto dell’emergenza, non è stato ancora completamente riallocato allo screening, di fatto minando la capacità di ripresa dei programmi”. L’Aiom chiede quindi il riavvio immediato in sicurezza degli screening in tutte le regioni, con nuove apparecchiature e l’assunzione di personale, il potenziamento della telemedicina e il rafforzamento dell’assistenza domiciliare oncologica, usando parte delle risorse del Recovery fund.