Separazione carriere, verso il referendum: i precedenti dal ‘no’ a Renzi al taglio dei parlamentari

Separazione carriere, verso il referendum: i precedenti dal ‘no’ a Renzi al taglio dei parlamentari
Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio in Senato (Foto Mauro Scrobogna/LaPresse)

Nordio: “La riforma valeva un candelabro”

La riforma della separazione delle carriere “valeva un candelabro”. Così il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, al termine della discussione del ddl sulla separazione delle carriere dei magistrati al Senato, risponde ai cronisti che chiedono se il gioco sia valso la candela. Il riferimento è alle parole del presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ieri aveva detto: “Giusta la separazione delle carriere ma forse il gioco non valeva la candela”. La Russa oggi ha ribadito: “Ho detto che per quanto attiene la separazione delle carriere, il numero di magistrati che normalmente passa da una funzione all’altra è modesto. Quindi gli danno tutti, sia il Governo sia i magistrati, secondo me troppa importanza a questa modifica di cui ho detto sono d’accordo, ma il gioco non vale la candela”.

Verso il referendum confermativo: i quattro precedenti

Sono quattro i referendum confermativi che si sono tenuti in Italia in 77 anni di storia repubblicana, tutti negli ultimi 25 anni. Il quinto sarà quello a cui sarà sottoposta la riforma delle separazione delle carriere dei magistrati lanciata dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, dopo l’approvazione definitiva attesa in Senato. Al contrario di quello abrogativo, il referendum confermativo non prevede un quorum minimo per la validità.
Fra queste partite referendarie in Italia, sono due in particolare quelle che hanno animato il dibattito politico negli ultimi anni.

  • Nel 2020 è passata la riforma del taglio dei parlamentari, da 945 a 600 membri, voluta dai Cinquestelle, che ha ottenuto il 69,96% dei ‘sì’ all’epoca del governo Conte II ed è stata applicata a partire dalla XIX legislatura, al via nel 2022. Oltre al M5S, padre del testo all’insegna dello stop agli sprechi e della lotta alla casta, anche il Pd si è schierato a favore come linea espressa dalla direzione nazionale, anche se il fronte del ‘no’ ha annoverato alcuni esponenti di spicco dem come Romano Prodi, Walter Veltroni e Rosy Bindi. Il ‘sì’ è arrivato anche da anche Fratelli d’Italia e dalla Lega, nonostante all’interno del Carroccio e di FdI alcuni big come Giancarlo Giorgetti e Guido Crosetto abbiano votato contro. Libertà di coscienza, invece, per Forza Italia e Italia viva, mentre Più Europa e Azione sono stati dalla parte del ‘no’. Carlo Calenda sottolineò che la “vera casta è di chi arriva in Parlamento senza competenza”.
  • L’altra sfida referendaria che ha acceso la polemica politica è stata quella del 2016 con la riforma costituzionale di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, che avrebbe previsto la fine del bicameralismo paritario e la nascita del Senato delle autonomie. Alle urne si presentò il 65,5% degli aventi diritto e il ‘no’ vinse con il 59,1%. Un risultato che spinse l’allora premier Matteo Renzi ad annunciare le dimissioni, assumendosi la responsabilità della sconfitta. Sul fronte del ‘no’ in quell’occasione si schierò, in particolare, il M5S. “Ha vinto la democrazia”, commentò Beppe Grillo all’esito del voto.ù
  • Ma tra i referendum confermativi se ne annoverano altri due. Se la riforma del Titolo V della II parte della Costituzione per una maggiore autonomia degli enti locali e una ridefinizione della ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni passò con il 64,2% dei ‘sì’.
  • Fu invece bocciata dal 61,3% degli italiani che si recarono alle urne la riforma della ‘devolution’ del governo Berlusconi III.
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