Il giorno dopo la decisione di non votare la fiducia al governo al Senato, mentre il premier Draghi conferma le dimissioni alla Camera e sale al Colle, il presidente del MoVimento sintetizza le ragioni della scelta presa

“Abbiamo preso atto che non ci volevano, togliamo il disturbo”. Il giorno dopo la decisione di non votare la fiducia al governo al Senato, mentre il premier Draghi conferma le dimissioni alla Camera e sale al Colle, il presidente del M5S Giuseppe Conte sintetizza così le ragioni di quella scelta. Lo fa davanti ai deputati riuniti a Montecitorio, che incontra per serrare i ranghi e dettare la linea. “È stata una decisione pressoché obbligata”, afferma, perché “chiedevamo un’agenda di governo”, ma non ci sono state risposte. Anzi, “sul superbonus c’è stato un attacco frontale”, aggiunge il leader pentastellato, che rivela: “Ieri eravamo orientati a dare almeno un appoggio esterno e ci aspettavamo di ricevere considerazione, dialettica politica e rispetto per il Parlamento”. “Appoggio totale” arriva dal garante Beppe Grillo, a quanto riferiscono a LaPresse fonti parlamentari vicine al fondatore del Movimento, che avrebbe approvato la decisione presa dal M5S perché “a quelle condizioni non aveva più senso” restare nell’esecutivo.La strategia è chiara: smarcarsi dall’accusa di aver voluto la caduta del governo e di essere stati irresponsabili.

Si capisce dalle dichiarazioni di Roberta Lombardi, assessore alla Transizione ecologica e Trasformazione digitale della Regione Lazio e responsabile per gli enti locali del Movimento, secondo la quale “Draghi ha demolito le nostre misure” (reddito di cittadinanza, salario minimo superbonus): “Cosa avremmo dovuto fare noi?”, si chiede, spiegando che la caduta del governo è “una scelta strategica politica del centrodestra” e “quando ci dicono che non siamo responsabili vorrei ricordare che abbiamo gestito due anni di pandemia e lo abbiamo fatto bene”. Ancor più secca Fabiana Dadone, ministro per le Politiche giovanili: “Questa crisi non l’abbiamo innescata noi così come non l’abbiamo conclusa, di questa crisi abbiamo semplicemente preso atto perché al netto di una narrazione che ci dipinge come pretestuosi noi siamo stati onesti, chiari e diretti dall’inizio alla fine”. E al di là delle truffaldine ricostruzioni che qualcuno vorrebbe imporre in queste ore, non siamo stati noi a volere questa crisi”, chiosa Fabio Massimo Castaldo.La linea però non convince tutti e rischia di lasciare la porta aperta a nuovi addii. Il travaglio che ha portato all’epilogo della crisi – tra riunioni fiume, scontri tra parlamentari, accuse reciproche di tradimento tra contiani e governisti – ha lasciato un segno. Oggi a lasciare è Maria Soave Alemanno, che passa a Italia Viva (“Sono amareggiata”, il Movimento “non lo riconoscono più”, scrive su Facebook) ma la resa de conti non sembra finita.

Oggi pomeriggio, a quanto si apprende, doveva tenersi un’ulteriore riunione dei deputati – poi annullata – in cui molti puntavano a chiedere le dimissioni del direttivo della Camera a partire dal capogruppo Davide Crippa, tra i più critici della linea del ‘no’ alla fiducia.Sul fuoco soffia il ministro degli Esteri e leader di Insieme per il futuro Luigi Di Maio, che anche oggi va all’attacco del suo ex partito. Anzi, del “partito di Conte”, come ormai lo definisce, “che non è più il Movimento 5 Stelle che io ho contribuito a fondare, una forza politica che creava governi e non li sfasciava in ragione di una crisi nei sondaggi che continuerà dopo quello che hanno combinato”. Di Maio annuncia che “l’agenda riformatrice di Mario Draghi non può scomparire. Tante persone di buona volontà porteranno avanti quell’agenda coraggiosa”, ma assicura: “Non posso stare e non andrò con quelli che hanno buttato giù Draghi e il governo, perché sono quelli che con la loro scelta provocheranno l’aumento dei costi dell’energia e della benzina”, e sono gli stessi “che strizzano l’occhiolino a Putin”. “Pagheranno il prezzo della crisi”, sentenzia. 

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