Chi sarà il successore di Sergio Mattarella al Quirinale? E soprattutto, l’elezione in Parlamento, convocato in seduta comune, sarà lunga ed estenuante come quelle che hanno portato all’elezione di Giuseppe Saragat e Giovanni Leone o lampo come fu per Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi? Tutto dipenderà dagli accordi tra i partiti. Accordi che ancora non ci sono.
A meno di venti giorni dalla convocazione del 24 gennaio, i partiti vanno in ordine sparso con nomi di papabili, che appaiono sui quotidiani per sparire il giorno dopo o, spesso, per essere ‘bruciati’. Con Mario Draghi sul podio, secondo i più esperti bookmaker, seguono Silvio Berlusconi, Giuliano Amato, Pier Ferdinando Casini e Marta Cartabia, ma il gioco del Quirinale è purtroppo strettamente collegato al futuro del governo, pertanto il rischio è che le caselle del puzzle non combacino portando allo stallo.
Per ora si guarda ai precedenti e nella storia della Repubblica solo due salgono sul podio dei presidenti eletti alla prima votazione: Cossiga e Ciampi. Il presidente ‘picconatore’, nel 1985, raccolse il 75,4% delle preferenze (752 voti su 997) grazie all’accordo trovato, tra i corridoi del Parlamento, tra Dc e Pci. La candidatura di Ciampi, invece, venne avanzata nel 1999 da un vasto schieramento parlamentare e in particolare dall’allora presidente del Consiglio, Massimo D’Alema. Walter Veltroni si occupò delle trattative, ottenendo il benestare dell’opposizione di centro-destra, anche se Ciampi, che non era iscritto ad alcun partito, era molto vicino all’Ulivo. L’ex governatore della Banca d’Italia fu proclamato quindi decimo presidente della Repubblica con il 71,4% delle preferenze (707 voti su 990). L’elezione più lunga e difficile nella storia della Repubblica fu invece quella di Giovanni Leone nel 1971. Ben 23 scrutini che prolungarono i lavori parlamentari per quasi 25 giorni. Per Leone furono determinanti i voti del Movimento sociale italiano. Nei primi scrutini, il candidato ufficiale della Dc era stato il presidente del Senato, Amintore Fanfani, che si ritirò dopo a causa dell’azione dei cosiddetti ‘franchi tiratori’ del suo stesso partito, lasciando il passo a Leone. Il giurista napoletano detiene anche un altro primato negativo: è stato il presidente che ottenne il minor numero di consensi: 52% (518 voti su 995). Anche per il socialista Giuseppe Saragat ci vollero 21 votazioni e fu eletto con il 68,9% dei consensi (646 voti su 937).
Il capo dello Stato che ottenne, invece, più voti fu Sandro Pertini, con l’83,6% delle preferenze, ossia 832 voti su 995, anche se ci furono numerosi scrutini, ben 16. L’elezione di Giorgio Napolitano fu breve: 4 scrutini in tutto, anche se la soglia dei consensi fu bassa: 54,8 preferenze (543 voti su 990). Per il suo secondo mandato Napolitano raccolse 738, conquistando un altro primato quello del presidente che ancora in carica viene rieletto. Un bis storico arrivato dopo giorni di impasse a Montecitorio, dove l’assemblea non era riuscita a raccordarsi prima sul nome di Franco Marini, partorito dall’accordo tra Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi, e poi su quello di Romano Prodi, nome che aveva mandato in frantumi quell’intesa trasversale tra Pd e Pdl.
Anche per portare Mattarella al Colle ci vollero quattro scrutini, con l’effetto sorpresa servito da Matteo Renzi che, in quella occasione, giocò una partita a poker impeccabile. Nel 2015 Renzi, segretario del Pd, propose il nome dell’allora giudice costituzionale a poche ore dall’apertura della quarta votazione del Parlamento in seduta comune, quando il quorum si era abbassato superando quindi la maggioranza qualificata dei due terzi degli aventi diritto. Mattarella viene eletto con 665 sì, 160 in più rispetto alla maggioranza assoluta del plenum, allora pari a 505. La sua elezione provocò l’ira del Cav e la rottura del patto del Nazareno, con numerosi strascichi sull’esito del voto, con i sospetti che non pochi parlamentari azzurri, nel segreto dell’urna, decisero di votare contrariamente alle indicazioni di Berlusconi. Piccola curiosità, quando la presidente della Camera, Laura Boldrini, convocò il 15 gennaio i grandi elettori al suo fianco aveva la vicepresidente vicaria del Senato della Repubblica, Valeria Fedeli (in sostituzione del presidente del Senato Pietro Grasso presidente supplente della Repubblica dopo le dimissioni di Napolitano). Per la prima volta nella storia repubblicana lo scranno presidenziale fu infatti presieduto da due donne nelle qualità rispettive di presidente della Camera e vicepresidente del Senato.
Oltre all’aspetto politico, l’elezione del presidente della Repubblica italiana è tecnicamente lunga e complicata. A Montecitorio si riuniranno, infatti, sulla carta 1.008 grandi elettori, compresi i tre delegati per ogni Regione eletti dal proprio Consiglio regionale, un delegato della Valle D’Aosta e i sei senatori a vita (Mario Monti, Giorgio Napolitano, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia e Liliana Segre). L’elezione avverrà per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea (maggioranza qualificata), mentre per le successive votazioni sarà sufficiente la maggioranza assoluta. In passato vi erano sempre state due votazioni al giorno, ma con le regole anticovid è quasi scontato che per questa tornata ce ne sarà solo una, allungando sicuramente i tempi.

