Due mesi per creare un partito e portarlo alla vittoria. Sono passati 27 anni dalle elezioni del 1994 quando Silvio Berlusconi, al di là di ogni pronostico, non vince ma stravince portando al successo una coalizione che vedeva insieme la Lega di Umberto Bossi con l’MSI di Gianfranco Fini. L’idea dell’imprenditore di successo, che sapientemente chiama la sua creatura ‘Polo delle libertà’, porta al voto 41 milioni di elettori (l’86,14% degli aventi diritto al voto) e il risultato è clamoroso: 42,84% per la coalizione contro il 34,34% dei ‘Progressisti’. La neonata Forza Italia raggiunge il 21%, conquistando 113 deputati e 36 senatori, il Movimento Sociale Italiano 31 deputati e 8 senatori e in fine il Carroccio, che fece il pieno, 117 deputati e 60 senatori.
Berlusconi varca il portone di palazzo Chigi, lanciando il suo manifesto: “L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare”. Un sogno tutto italiano, che oggi vede Forza Italia lontano da quei successi, in termini sicuramente di elettorato, ma, ironia della sorta, ancora membro del governo del paese. Il Cav ha scommesso e creduto in Mario Draghi, quell’uomo che portò alla guida della Bce superando anche le perplessità di Angela Merkel. Una scelta obbligata per salvare il Paese dalla pandemia, con l’obiettivo di rinvigorire i valori liberali e moderati in un panorama politico ormai troppo lontano dai principi che lo spinsero verso la sua discesa in campo nel ’94.
Giuliano Urbani, classe 1937, tra i fondatori del partito guidato da Berlusconi, intervistato da LaPresse non ha dubbi: “Forza Italia oggi è un partito che ce la mette tutta per fare bene, ma ha perso la sua forza”. Il panorama politico è cambiato e attacca: “E’ una catastrofe, non esiste più. Il problema non è il premier ma il Parlamento, con una penosa attività affidata a idee sbagliate. Manca una speranza di governo e di buon governo”. Diverso il pensiero di un altro storico di Forza Italia, Antonio Martino: “Un partito carismatico va avanti finché va bene il leader e quando il leader ha dei problemi il partito inevitabilmente ne è intaccato”. Due volte ministro in due diversi governi guidati da Berlusconi, tirando le fila di 27 anni di vita del partito azzurro è tranchant: “Basare il partito solo ed esclusivamente sulla figura di Berlusconi fu un errore. Ad un certo punto la struttura doveva evolversi garantendo la partecipazione degli iscritti, portandosi verso la collegialità”.

