Resta l'impasse sulle opere pubbliche: la base di lavoro è il 'Modello Genova', ma il Pd predica prudenza

Il decreto Semplificazioni andrà in Consiglio dei ministri lunedì sera. Ma non è la fine delle tribolazioni per la maggioranza e il premier, Giuseppe Conte. Il vis a vis con Nicola Zingaretti ha concesso ossigeno prezioso al capo del governo nell'opera di mediazione tra le forze dell'esecutivo, ma la situazione resta comunque esplosiva, perché carte alla mano la sensazione è che i motori siano lenti, se non addirittura bloccati. L'accordo sulla "madre di tutte le riforme", come l'ha definita il presidente del Consiglio, è ancora tutto da chiudere. Resta l'impasse sulle opere pubbliche: Italia viva spinge per inserire nel provvedimento l'elenco dei cantieri e la possibilità di nominare per ognuna un commissario. La base di lavoro è il 'Modello Genova', ma le troppe deroghe alle norme non convincono i dem, che vorrebbero maggiore prudenza.

In realtà il problema è più politico. Perché il clima è di forte diffidenza tra gli alleati, mentre la carne al fuoco inizia a essere davvero tanta. L'ultima, per ordine di tempo, è la trattativa sulla legge elettorale che si è riaperta proprio nelle ultime ore. A spingere è il Nazareno, che vorrebbe vedere rispettati i patti con cui fu sancito l'accordo di governo: voto favorevole alla norma sul taglio dei parlamentari in cambio di una revisione del sistema di voto. In aula alla Camera ci arriverà a fine luglio, ma il pressing è già alto nelle truppe dem, che almeno su questo tema si trovano a giocare di sponda con i colleghi del Cinquestelle. Mentre Matteo Renzi alza la linea degli stopper di Italia viva per mettere in fuorigioco i compagni di coalizione. "Non la considero una priorità, ma se proprio deve essere discussa, noi siamo per un maggioritario", avvisa il senatore semplice di Firenze. A cui replica a stretto giro il suo ex partito: "Era d'accordo sul proporzionale, lo scorso 8 gennaio firmò la nota congiunta dei rappresentanti di maggioranza".

Anche al M5S questo impasse piace poco. Soprattutto perché alimenta i dubbi di quanti sentono Conte poco attivo nella mediazione. Qualche parlamentare azzarda un paragone con il recente passato, quando al governo erano con la Lega: "Erano sempre Luigi Di Maio e Matteo Salvini a trovare la quadra quando c'era uno stallo, ma almeno all'epoca aiutava la sintesi. Ora invece un giorno sembra leader di Iv, un altro del Pd, un altro ancora il nostro capo politico… Eppure non è iscritto a nessuno dei nostri partiti". Il riferimento, nemmeno troppo velato, è alle ultime dichiarazioni del premier che spinge per un accordo alle Regionali tra dem e pentastellati, ma soprattutto per le parole troppo 'dolci' usate per rispondere alle domande su Forza Italia.

Il timore è che, pallottoliere alla mano, si stia preparando il terreno a un voto sul Mes che includa i voti degli azzurri per compensare le eventuali defezioni Cinquestelle. Il sospetto c'è, ma pochi vogliono credere che questa sarà poi la realtà dei fatti. Nel dubbio, comunque, il mood è quello di tenere occhi bene aperti su Palazzo Chigi.

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