Di Jan Pellissier
Venezia, 1 giu. (LaPresse) – Il Veneto resta saldamente leghista, ma soprattutto resta Luca Zaia che raccoglie oltre un milione di consensi ed è il più votato in tutt’Italia di questa tornata elettorale. Il governatore ha giocato pesante, prima riuscendo a tagliar fuori Flavio Tosi, e poi convincendo Matteo Salvini ad affiancare al Carroccio una lista a suo nome. Mossa vincente, che secondo l’ex ministro dell’Agricoltura ha consentito di raccogliere sia il voto degli scontenti di sinistra, ed ha fatto votare chi da tempo rientrava nel popolo degli astenuti, che sono stati comunque tanti, oltre il 42% contro il 33% del 2010. La lista Zaia è così arrivata al 23% diventando il primo partito in Veneto, Tosi ha tentato la stessa manovra ma ha raccolto meno del 6%. Zaia e Lega valgono insieme 24 seggi, e con i 2 eletti della lista collegata ‘Indipendenza Noi Veneto’ arrivano alla maggioranza assoluta sui 51 seggi del nuovo consiglio regionale. Un monocolode ‘de facto’. Numeri che mettono ben in evidenza il crollo di Forza Italia che avrà appena 3 seggi, dopo aver governato per 15 anni con Giancarlo Galan, che un anno fa è stato però travolto con i vertici locali del partito dallo scandalo Mose. Malissimo anche Alessandra Moretti che chiude al 22,7% relegando il Pd al terzo posto con il 16,7%, mentre i grillini raccolgono l’11,87%, appena meglio della coalizione di Tosi che si ferma all’11,86%.
Visti proprio questi ultimi numeri, Zaia parlando con la stampa ha potuto ‘sentenziare’: “In Veneto il Pd ed il Governo sono stati trombati”. Per ora Zaia dichiara di non avere problemi con Matteo Salvini, ma nemmeno subalternità: “Lui è come un prete che pensa all’anima del partito, io amministro”. Riconoscendogli una leadership forte, “l’unica alternativa a Matteo Renzi”, Zaia ha però anche chiarito che proprio la leadership è la spina dorsale “di una politica senza più destra e sinistra”. Detto da uno che ha appena raccolto un milione di voti, sa di armistizio, nei confronti di un segretario che in campo per ora non è sceso mai da leader. Perché appare evidente, che questo exploit proietta Zaia ad un livello superiore nello scenario politico nostrano. In questi mesi infatti Tosi pareva avergli tolto il terreno da sotto i piedi, avviando un ‘mercato’ dei consiglieri leghisti che poteva indebolire Zaia, che invece con un ricambio accelerato ha sorpreso tutti. ‘Game, set and match’ si direbbe su un campo da tennis. In Veneto invece la dialettica già vira verso “il fare in fretta”, perché Zaia non nasconde i problemi dell’ente che gestisce: “La regione non è fallita, non è sull’orlo del baratro, ha bisogno di interventi urgenti”.
Si parte con il lavoro spiega Zaia, 160mila i disoccupati nel ricco Veneto, un terzo dei quali immigrati. Poi una riforma della regione stessa, che permetta un maggiore controllo delle risorse, quasi una rispolverata a quel federalismo, “sogno” della Lega epoca Bossi-Calderoli, oggi relegato in un cassetto. “Secessione no, ma maggiore autonomia sì” spiega Zaia, mentre risponde ai 480 sms arrivatigli nella notte. Anche perché, se dall’euro non si può uscire, Zaia chiede almeno un trattamento diverso “tra chi ha il rating della Baviera come noi, e chi no, come la Calabria, che sta all’Italia come la Grecia all’Europa”. La soluzione è tutta nel programma di 200 pagine, che giace nella cancelleria del tribunale di Venezia, dove Tosi l’ha depositato in allegato alle liste elettorali: “Non era obbligatorio farlo, ed il giudice non ce l’ha chiesto, ma è un modo per rispettare i veneti, garantendogli che le promesse che abbiamo fatto le manterremo, e solo quelle. Non voglio liberi pensatori”. Nessuna priorità definita nei primi 100 giorni per Zaia, se non “andare avanti con il buon governo di questi 5 anni: ha vinto l’aver veicolato il messaggio ‘padroni a casa nostra’, chi non l’ha saputo interpretare non ha portato a casa il risultato. I veneti hanno scelto il nostro progetto”.
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