Milano, 9 lug. (LaPresse) – I vertici di Fininvest e il suo rappresentante legale, Silvio Berlusconi, non potevano essere all’oscuro del versamento da 3 miliardi di lire a favore dell’avvocato Cesare Previti, incaricato di gestire “gli affari sporchi” del gruppo. Proprio da quella somma provengono i 400 milioni versati al giudice romano Vittorio Metta per influenzare d’appello che riportava il controllo di Mondadori nelle mani di Silvio Berlusconi, dopo che un lodo arbitrale aveva invece stabilito che le quote della famiglia Formenton (l’altro azionista di riferimento della casa editrice) dovessero passare a De Benedetti, come pattuito, e non a Fininvest. Lo spiegano i giudici della seconda sezione civile della Corte d’Appello di Milano, che oggi hanno depositato la sentenza civile di secondo grado sul lodo Mondadori, disponendo un risarcimento da 560 milioni che Finininvest dovrà versare a Cir, spiegando che “è certo, essendo il contrario addirittura irreale che il dominus della società in persona abbia promosso ovvero consentito la condotta criminosa”.
Il collegio presieduto da Luigi de Ruggiero nella sentenza condivide le parole del giudice di primo grado Raimondo Mesiano secondo cui è di fatto inevitabile “che un bonifico di quella entità potesse essere inoltrato solo sulla base della preventiva accettazione da parte di chi nella compagine sociale, da cui proveniva la somma destinata alla condotta attiva, ricopriva una incontrastata posizione di vertice”. Secondo la Corte d’Appello anche “cronologia dei versamenti dei bonifici che partono da Fininvest per giungere a Vittorio Metta” porta a ritenere che Berlusconi fosse a conoscenza dell’operazione.
Infine, anche volendo abbracciare la tesi dei difensori di Fininvest, secondo cui “la somma di tre miliardi di lire non fosse così eccezionale nel bilancio del gruppo al punto di ritenere che l’organo di vertice ne fosse necessariamente a conoscenza, rimane il fatto che la somma era per l’epoca certamente importante”. A ciò si deve comunque aggiungere che “essa fu versata per una causale tutt’altro che irrilevante, essendo finalizzata, mediante la corruzione di un magistrato, alla ‘miglior spartizione’ della Mondadori, vicenda che aveva una rilevanza evidente non solo negli assetti economici, ma anche politici generali (si vedano gli interventi del presidente del Consiglio dell’epoca) – prosegue la sentenza -. Tali considerazioni escludono che l’organo di vertice di Fininvest non fosse a conoscenza della dazione e delle sue finalità”.
La Corte d’Appello di Milano, quindi, su questo punto accoglie le ragioni presentate da Cir e stabilisce che “è assolutamente improbabile, anzi fuori da ogni plausibile logica, che nel febbraio ’91 una qualsiasi persona fisica abbia versato tre miliardi di lire di Fininvest a Previti, in mancanza di una obbligazione debitoria nei suoi confronti, perché li gestisse nell’interesse della medesima Fininvest anche e soprattutto a fini corruttivi, tenendo il proprietario della società pagatrice e beneficiaria all’oscuro dell’esistenza o anche solo del fine di questa operazione”. I giudici di Milano spiegano anche che “com’è ovvio che sia, nessun gestore o collaboratore, neppure al più alto livello, avrebbe mai assunto su di sé la decisione, la responsabilità ed il rischio di un’iniziativa di tale portata in mancanza di un’univoca direttiva del dominus”.
“Salvo, appunto, elucubrare di corruttori intraprendenti ed audaci che in autonomia sottraggono tre miliardi di lire a Fininvest per consumare una corruzione ‘clandestina’ rispetto allo stesso (per ‘immedesimazione organica’) soggetto pagatore e beneficiario dell’illecito, è certo, essendo il contrario addirittura irreale – si legge ancora nella sentenza – che il dominus della società in persona abbia promosso ovvero consentito la condotta criminosa, concretamente realizzata con denaro suo ed a suo illecito profitto attraverso esecutori materiali a lui strettamente legati”.
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