Dal 31 gennaio 2020 a oggi export diminuito e più migranti

Cinque anni fa veniva sancita l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Il 31 gennaio 2020, alle ore 23.00 (ora di Londra), mezzanotte presso la sede dell’Ue a Bruxelles, il Regno Unito lasciava ufficialmente il blocco dopo quasi cinquant’anni di appartenenza che avevano portato la libera circolazione e il libero scambio tra il Regno Unito e altri 27 Paesi europei. Per i sostenitori della Brexit, il Regno Unito era ora una nazione sovrana responsabile del proprio destino. Per gli oppositori, era un Paese isolato e limitato. Era, senza dubbio, una nazione divisa che aveva fatto un salto nel buio. Cinque anni dopo, le persone e le imprese stanno ancora lottando con le scosse di assestamento economiche, sociali e culturali.

Il covid e il conflitto ucraino hanno pesato sull’economia britannica

L’Office for Budget Responsibility del governo prevede che le esportazioni e le importazioni del Regno Unito saranno entrambe inferiori di circa il 15% nel lungo periodo rispetto a quelle che si sarebbero avute se il Regno Unito fosse rimasto nell’Ue, e la produttività economica sarà inferiore del 4% rispetto a quella che sarebbe stata altrimenti. La pandemia Covid-19 e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno poi aggravato le perturbazioni economiche e reso più difficile valutare l’impatto dell’uscita dall’UE sull’economia. In un settore chiave, l’immigrazione, l’impatto della Brexit è stato l’opposto di quanto previsto da molti. Il desiderio di ridurre l’immigrazione è stato uno dei motivi principali per cui molti hanno votato a favore dell’uscita dall’Ue, eppure oggi l’immigrazione è molto più alta rispetto a prima della Brexit, perché il numero di visti concessi ai lavoratori di tutto il mondo è salito alle stelle.

Le trattative del divorzio dall’Ue

Il Regno Unito è uscito senza un accordo sulle sue future relazioni economiche con l’Ue, che rappresentava la metà degli scambi commerciali del Paese. L’uscita politica è stata seguita da 11 mesi di trattative serrate sui termini del divorzio, culminate con un accordo alla vigilia di Natale del 2020. L’accordo commerciale prevedeva l’uscita del Regno Unito dal mercato unico e dall’unione doganale del blocco. Ciò significava che le merci potevano circolare senza tariffe o quote, ma comportava nuova burocrazia, costi e ritardi per le imprese commerciali. I sondaggi indicano che l’opinione pubblica britannica si è inacidita sulla Brexit, con una maggioranza di persone che ora pensa che sia stato un errore. Ma il rientro nell’Unione sembra una prospettiva lontana. Con il ricordo ancora vivo delle discussioni e delle divisioni, pochi vogliono rivivere tutto questo. Il primo ministro del partito laburista Keir Starmer, eletto nel luglio 2024, ha promesso di ‘reimpostare’ le relazioni con l’Ue, ma ha escluso di rientrare nell’unione doganale o nel mercato unico. Egli punta a cambiamenti relativamente modesti, come la facilitazione delle tournée degli artisti e il riconoscimento delle qualifiche dei professionisti, nonché a una più stretta cooperazione in materia di applicazione della legge e sicurezza.

La storia del Regno Unito nell’Ue

Nazione insulare con un forte senso della propria importanza storica, il Regno Unito è stato a lungo un membro scomodo dell’Ue prima del giugno 2016, quando tenne un referendum per decidere se rimanere nell’Unione o uscire. Decenni di deindustrializzazione, seguiti da anni di tagli alla spesa pubblica e da una forte immigrazione, hanno creato un terreno fertile per l’argomentazione secondo cui la Brexit avrebbe permesso al Paese di ‘riprendere il controllo’ dei propri confini, delle proprie leggi e della propria economia. Eppure il risultato, 52% a 48% a favore dell’uscita, è stato uno shock per molti. Il referendum è stato seguito da anni di lotte sui termini del divorzio tra un’Unione Europea ferita e un Regno Unito frammentato, che hanno causato uno stallo in Parlamento e alla fine hanno fatto cadere la premier Theresa May. Quest’ultima si dimise nel 2019 e fu sostituita da Boris Johnson, che giurò di “portare a termine la Brexit”. 

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