Elezioni Turchia, il ‘sultano’ Erdogan a caccia di un nuovo mandato

Protagonista assoluto da 20 anni della politica di Ankara, deve fronteggiare un calo della popolarità e gli strascichi del terremoto del 6 febbraio

Nel voto di oggi, Recep Tayyip Erdogan cerca una nuova elezione a presidente della Turchia in un contesto socio-politico-economico completamente diverso rispetto a quello che ne sancì l’ascesa nel 2014. Il ‘sultano’, leader del partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), deve fronteggiare un generale calo della popolarità, già emerso nelle amministrative del 2019, quando Akp ha perso il governo delle due città più importanti del Paese, Ankara e Istanbul. Il terremoto del 6 febbraio scorso, con il bilancio di oltre 50mila morti nella sola Turchia, ha fatto emergere le inefficienze nella macchina statale dei soccorsi e riportato in auge il cancro della corruzione. Si è aggiunto il malore, durante un’intervista tv, che ha costretto Erdogan ad annullare per alcuni giorni gli impegni della campagna elettorale. Nel tentativo di recuperare terreno, il presidente turco ha giocato la carta di alzare del 45% lo stipendio dei dipendenti statali a soli 5 giorni dal voto.

Il protagonista di 20 anni di politica

Erdogan, figura chiave anche a livello internazionale, è il protagonista assoluto della politica turca da 20 anni, considerando l’esperienza da premier iniziata nel 2003 e terminata nel 2014 con l’elezione a capo dello Stato. Classe 1954, è nato a Istanbul. Entra in politica sul finire degli Anni 70, nel ’94 si candida a sindaco di Istanbul con il Partito del benessere e resta in carica fino al ’98. Tre anni dopo fonda l’Akp, conducendolo alla vittoria alle parlamentari del 2002, del 2007 e del 2011. Erdogan ha cambiato il volto della Turchia nel segno di una progressiva reislamizzazione del Paese e di un neo-ottomanesimo sul fronte della politica estera. Ne è derivato un rapporto complicato con l’Ue. Se in un primo momento il processo di adesione della Turchia è sembrato prendere slancio sull’onda dello sviluppo infrastrutturale del Paese, successivamente l’iter ha rallentato, sino a frenare a seguito della stretta operata sulla libertà di stampa e sui social media dopo le grandi proteste anti governative del 2013.

Il golpe fallito

Tre anni dopo il primo grande spartiacque dell’era Erdogan: il 15 luglio 2016 militari tentano di rimuovere il presidente. Il golpe, però, fallisce. Erdogan accusa la fantomatica rete collegata a un ex alleato, l’imam in esilio Fetullah Gulen. Il successivo 20 luglio viene dichiarato uno stato d’emergenza destinato, tra una proroga e l’altra, a durare due anni, con una vera e propria stagione di purghe segnata da migliaia di arresti e rimozioni da incarichi pubblici. In pieno stato di emergenza, il 16 aprile 2017, si vota per il referendum costituzionale voluto da Erdogan per rafforzare le proprie prerogative. Con la vittoria del sì, la Turchia si trasforma in una repubblica presidenziale. Un anno dopo arriva la rielezione a capo dello Stato. Oggi gli oppositori contestano a Erdogan che correre per un terzo mandato rappresenti una violazione del dettato costituzionale, mentre i suoi sostenitori affermano che la nuova candidatura avvenga proprio nel quadro della revisione della Carta e quindi non vadano conteggiati gli anni di presidenza nel precedente sistema di repubblica parlamentare.

La politica estera

Sul fronte della politica estera, Erdogan ha cercato di rafforzare il ruolo della Turchia in Medioriente e non solo. Ankara ha gradualmente fornito assistenza all’Esercito siriano libero nella guerra contro il regime di Assad, sostenuto da Mosca. Negli anni successivi Erdogan ha recuperato i rapporti con Vladimir Putin, tanto che oggi la Turchia, Paese Nato, si è saputa ritagliare un ruolo di mediazione nel quadro della guerra in Ucraina, ospitando colloqui a Istanbul nelle prime settimane di combattimenti e promuovendo l’Iniziativa per il transito di grano ucraino nel Mar Nero mediata dall’Onu.