Il potente generale libico Khalifa Haftar annuncia la candidatura alle elezioni presidenziali del 24 dicembre, mentre sul voto cresce l’incertezza. La sua discesa in campo era ampiamente attesa, dopo che ha rinunciato per tre mesi al comando delle forze armate della Cirenaica, proprio in funzione della corsa. Prima di lui, domenica aveva formalizzato la propria candidatura anche Saif al-Islam Gheddafi, figlio del dittatore Muammar Gheddafi, che dopo essere stato rilasciato a Zintan nel 2017 viveva da tempo nascosto ed è ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità.
Dopo aver presentato i documenti a Bengasi, Haftar ha diffuso un video in cui definisce le “elezioni l’unica via per uscire dalla grave crisi in cui è piombato il nostro Paese”. “Annuncio la mia candidatura alla presidenza – ha affermato – non perché io voglia potere o status, ma per guidare il nostro popolo in questa fase critica verso gloria, progresso e prosperità”, dopo un decennio di disordini e guerra civile.
La Libia è nel caos dalla rivoluzione del 2011, in cui Muammar Gheddafi fu linciato mettendo fine a oltre 40 anni di potere. Il Paese da allora si è spaccato in due, con un governo orientale guidato da Haftar e un’amministrazione a Tripoli sostenuta dalle Nazioni unite. Ciascuna delle due parti ha l’appoggio di mercenari e forze straniere, provenienti da Paesi come Russia, Siria e Turchia.
Se le loro candidature saranno accettate, Haftar e Gheddafi saranno i favoriti alle urne, mentre politici e leader delle milizie si sono già opposti e hanno chiesto modifiche alle leggi elettorali. Hanno anche messo in guardia che la guerra civile potrebbe riesplodere, se le elezioni proseguiranno secondo le regole attuali, con questi candidati. Khalid al-Mishri, islamista a capo del Supremo consiglio di Stato con base a Tripoli, ha minacciato in tv di usare la violenza per impedire ad Haftar di assumere l’incarico, se sarà eletto. E secondo i media gruppi di miliziani e dimostranti hanno impedito agli elettori di registrarsi in almeno due punti elettorali.
Nel frattempo, cresce l’incertezza sul voto, tra richieste di rinvii e delegittimazione. La conferenza internazionale di Parigi del 12 novembre ha cercato di legittimare l’iter del voto, chiedendo anche che i mercenari stranieri lascino la nazione nordafricana. L’accordo di massima aveva previsto che il primo turno delle presidenziali e legislative si svolgessero in contemporanea, ma molte incertezze restano. Oltre ai due divisivi candidati Haftar e Gheddafi, è previsto che si presentino anche il presidente del Parlamento di Tobruk Agila Saleh e l’ex ministro dell’Interno Fathi Bashaga, e non è escluso che alla corsa si unisca il primo ministro Abdul Hamid Dbeibah. Questi ha detto lunedì che potrebbe farlo, se il popolo lo volesse, ma affronta ostacoli formali: la legge prevede le dimissioni da incarichi di governo tre mesi prima della data del voto. Inoltre, quando era stato nominato alla guida del governo di transizione dopo i colloqui guidati dall’Onu, si era impegnato a non candidarsi nel governo che gli sarebbe succeduto.