La leader deposta Aung Suu Kyi resta in carcere
Fionde, armi da fuoco puntate e pestaggi contro i dimostranti nelle strade della Birmania, dove i militari tentano l’escalation di pressione e violenza per mettere fine alle manifestazioni contro il colpo di stato. Mentre la leader deposta Aung San Suu Kyi resta in carcere, in attesa di un’udienza mercoledì, migliaia di persone sono nuovamente scese in strada, nonostante il taglio dell’accesso a internet e l’aumento dei blindati nelle città. I manifestanti chiedono la scarcerazione di Suu Kyi e degli altri leader civili incarcerati, nonché il ritorno al potere del governo eletto.
A Mandalay oltre mille dimostranti si sono radunati davanti alla Myanmar Economic Bank, dove sono velocemente arrivate 10 camionette cariche di soldati e polizia, che hanno sparato con le fionde contro i dimostranti, secondo un fotografo sulla scena. Poi sono passati a picchiare la folla con bastoni, sparando in aria con i fucili. I media hanno anche dato notizia di persone ferite con proiettili di gomma e armi puntate contro i presenti. A Naypyitaw, la capitale, sono scesi in piazza contro i militari anche studenti fra i 13 e i 16 anni, e una protesta si è svolta fuori dalla sede della polizia per chiederne il rilascio. Sarebbero tra 20 e 40 i ragazzini fermati dagli agenti mentre manifestavano pacificamente. A Rangoon un migliaio di persone si è radunato alla Banca centrale nazionale, attorniato da soldati, cannoni ad acqua e blindati. Proseguono anche gli scioperi del movimento di disobbedienza in cui medici, ingegneri e altri professionisti hanno smesso di lavorare per protesta.
Le notizie arrivano mentre i militari hanno esteso la detenzione cautelare della premio Nobel per la Pace Suu Kyi, la cui custodia sarebbe scaduta oggi. Deposta assieme alla leadership civile nel colpo di stato del 1° febbraio, Suu Kyi comparirà mercoledì davanti ai giudici, mentre resta ai domiciliari per l’accusa di aver posseduto walkie-talkie importati senza autorizzazione. Un annuncio che non può che alzare ulteriormente la tensione, che le forze armate hanno tentato di ridurre anche tagliando l’accesso a internet nella notte e aumentando il dispiegamento di personale e mezzi nelle grandi città. La giunta, guidata dal generale Min Aung Hlaing, sostiene di essere subentrata a causa di brogli elettorali non indagati nelle elezioni dello scorso anno, vinte trionfalmente dalla Lega nazionale per la democrazia di Suu Kyi.
Domenica gli ambasciatori di Usa, Canada e 12 Paesi europei hanno chiesto alle forze armate birmane di non usare la violenza contro chi “protesta per la destituzione del proprio governo legittimo”. Hanno condannato l’arresto dei leader politici e degli attivisti, così come l’interferenza nelle comunicazioni. “Appoggiamo il popolo birmano nella sua richiesta di democrazia, libertà, pace e prosperità”, hanno dichiarato in una nota congiunta: “Il mondo sta guardando”. Analoga la condanna del segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, che si è definito “profondamente preoccupato” per la situazione, anche per “l’aumento dell’uso della forza”, e ha chiesto “di garantire che il diritto al raduno pacifico sia rispettato”.
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