Washington Redskins cambiano nome dopo 87 anni: via insulto razziale

La squadra di football cede alla pressione degli sponsors

 Non si chiamerà più Redskins, e il suo logo non sarà più il profilo piumato di un nativo americano – o 'indiano pellerossa', per ricalcare l'offensivo gergo al centro della questione. A 87 anni dalla sua fondazione, dopo che per decenni ha ignorato le accuse di razzismo mosse dai nativi, la squadra di Washington che milita nella Nfl si piega alla pressione degli sponsor. Ancora non si sa quando e come la franchigia sarà ribattezzata, ma il cambiamento del più controverso nome dello sport professionale statunitense è una rivoluzione. Simbolica, ma una rivoluzione, in tempi di presa di coscienza sociale su razzismo sistemico e ingiustizia razziale.

 La squadra non ha più potuto snobbare le critiche dopo che il movimento Black Lives Matter si è di nuovo incendiato, questa volta con una fiammata arrivata nel cuore delle istituzioni, di ogni settore sportivo e culturale, e oltreoceano. All'origine l'ennesima uccisione di un afroamericano disarmato da parte di poliziotti bianchi: George Floyd, morto soffocato a Minneapolis il 25 maggio scorso. A convincere la dirigenza sembra essere stata soprattutto la leva monetaria: FedEx, Nike, Pepsi e Bank of America si sono schierate contro il nome dato nel 1933 alla squadra. FedEx, il cui ceo Frederick Smith possiede quote della squadra, e che paga 205 milioni di dollari per i diritti sul nome dello stadio a Landover in Maryland, pochi giorni fa è stato il primo a chiedere un nuovo nome.

 Il proprietario del team Dan Snyder, tifoso che un tempo giurava non avrebbe mai ceduto, un paio di settimane fa ha invece previsto una "approfondita revisione". Poi l'annuncio datato 13 luglio, diffuso su Twitter (ancora sotto intestazione con il profilo del nativo e il relativo lettering): "Annunciamo che ritireremo il nome Redskins e il logo", "Snyder e il coach Rivera stanno lavorando a stretto contatto per sviluppare un nuovo nome e un approccio al design che rafforzino la posizione della nostra franchigia, orgogliosa e ricca di tradizione, che ispirino i nostri sponsor, fan e comunità per i prossimi 100 anni".

 "Snyder oggi ha vinto, perché ora ha un lascito che sarà differente dall'insulto razziale che era contenuto nel nome della squadra. So che non è una cosa facile da fare, ma è quella giusta", ha commentato Ray Halbritter, rappresentante della Oneida Indian Nation, tribù degli indigeni Oneida. Un altro passo per rivedere le radici della squadra era già stato fatto di recente, con il taglio dei legami con il fondatore George Preston Marshall: è stato rimosso il nome dal Ring of Fame ed è stato reso omaggio al primo giocatore nero Bobby Mitchell. Marshall, che cambiò il nome Boston Braves in Redskins, era un segregazionista e fu l'ultimo ad aprire la squadra agli afroamericani.

 Intanto, arrivano echi anche da altri sport. Ad esempio, i Chicago Blackhawks della National Hockey League fanno sapere di non aver alcuna intenzione di cambiare nome. Ci sono infatti pressioni perché tutti i brand che si rifanno ai nativi siano rivisti in chiave antirazzista e rispettosa. "La nostra lotta continua", promette Crystal Echo Hawk del gruppo IllumiNative, "è tempo di schierarsi in modo solidale e dichiarare che il razzismo non sarà tollerato".