Alta tensione dopo l'introduzione della nuova legge sulla sicurezza nazionale nell'ex colonia britannica. Lascia la città uno degli attivisti pro-democrazia più famoso, Natan Law
Gli Stati Uniti rispondono con le sanzioni alla stretta di Pechino su Hong Kong. Dopo l'approvazione della controversa legge sulla sicurezza nazionale per l'ex colonia britannica, che rischia di mettere a tacere le organizzazioni pro-democrazia, il Congresso degli Usa ha approvato misure volte a punire i gruppi che minano l'autonomia della città e limitano le libertà degli abitanti. Tra questi, le unità di polizia, che hanno duramente represso i dissidenti, i dirigenti del partito comunista e le banche che li finanziano.
La mossa di Washington era stata preannunciata già nei giorni scorsi con le continue dichiarazioni del segretario di Stato Mike Pompeo che ha duramente condannato la nuova legge, entrata in vigore nel 23esimo anniversario dal ritorno della città alla Cina dopo la dominazione britannica. Democratici e repubblicani si sono uniti nella ferma condanna alle restrizioni dell'autonomia di Hong Kong. "Tutti i popoli che amano la libertà devono condannare questa orrenda legge" imposta dalla Cina, mirata a "smantellare le libertà democratiche", ha detto la speaker della Camera Nancy Pelosi.
Il fuoco incrociato tra Washington e Pechino rischia di danneggiare lo status di Hong Kong come hub finanziario globale. La città è diventata nel tempo uno snodo cruciale per le relazioni economiche e finanziarie della Cina con i paesi esteri e, grazie al suo status privilegiato, è riuscita ad attirare ingenti capitali stranieri. Pechino, nonostante le minacce degli Usa, ha deciso di tirare dritto. Se le sanzioni diventeranno legge, "la Cina prenderà forti contromisure e tutte le conseguenze saranno a carico della parte statunitense", ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian dopo il prima via libera dato alla legge dalla Camera dei rappresentanti. Zaho ha esortato gli Stati Uniti a "rispettare il diritto internazionale e a smettere di interferire negli affari interni della città".
Nello scontro si è inserito anche il Regno Unito che nei giorni scorsi aveva promesso visti a pioggia per circa 3 milioni di residenti a Hong Kong. "Se Londra farà questi cambiamenti unilaterali" sulla questione del passaporto British National Overseas (BNO), "violerà la sua stessa posizione e le sue promesse. Ci opponiamo con forza e ci riserviamo il diritto di prendere misure reciproche", ha dichiarato un portavoce dell'ambasciata cinese a Londra, chiedendo al Paese di dare una valutazione obiettiva sulla legge. E mentre Taiwan ha aperto un ufficio per aiutare i cittadini di Hong Kong a trasferirsi sull'isola, il primo ministro australiano Scott Morrison ha dichiarato che il suo governo sta prendendo in considerazione l'idea di garantire un rifugio sicuro ai residenti della città.
Intanto continua la repressione dei dissidenti a Hong Kong. Sono circa 307 gli attivisti arrestati a seguito delle proteste scoppiate nelle scorse ore, tra loro anche una ragazza di 15 anni. Dopo l'annuncio dello scioglimento dell'organizzazione pro-democrazia Demosisto, uno dei fondatori, Nathan Law, ha deciso di lasciare la città e al momento non si sa dove si sia rifugiato. Sul versante opposto gli attivisti pro-Pechino hanno condannato quella che definiscono un'intromissione straniera negli affari del loro territorio. Dozzine di attivisti e legislatori filo-Pechino hanno protestato fuori dal consolato americano di Hong Kong per chiedere lo stop dell'ingerenza Usa. Il gruppo ha dichiarato di aver raccolto già 1,6 milioni di firme a supporto della causa.