Francia, loi travail e jobs act a confronto: aumenta flessibilità

Il testo, se adottato così com'è, consacra "la supremazia degli accordi interni all'azienda, rispetto a quella nazionale di settore"

Proteste, scioperi e blocchi. La riforma del lavoro, la cosiddetta 'loi travail' proposta dal governo di Manuel Valls, è stata duramente contestata in tutta la Francia. Come per l'Italia, per il 'jobs act', l'obiettivo francese è quello di rendere più flessibile il mercato del lavoro, di ridurre il costo dei licenziamenti e, soprattutto, di diminuire i ricorsi davanti ai giudici sulle indennità ad "eccezione di fatti di particolare gravità da parte dell'azienda".

Nel dettaglio i punti più controversi del disegno di legge in un confronto con il 'jobs act' italiano.

L'ORARIO DI LAVORO. Contrariamente a quanto si crede, l'orario di lavoro settimanale resterà a 35 ore. Quello che potrebbe cambiare, è la retribuzione del lavoro straordinario. Al momento, le prime otto ore, oltre le 35 settimanali, sono pagate il 25% in più, le successive il 50% in più. La legge propone di ridurre il costo mantenendo un plafond minimo del 10% in più.

La giornata lavorativa al momento non supera le 10 ore, ma potrebbe durare fino a 12 ore a seguito di un accordo aziendale. Il codice del Lavoro francese permette già il passaggio a un massimo di 60 ore settimanali per 'circostanze eccezionali'. Il tempo massimo di lavoro settimanale medio, però, non può superare le 44 ore su un periodo di 12 settimane. Il governo, invece, vorrebbe portare il calcolo della media a 16 settimane permettendo di aumentare l'orario, in base ad accordi aziendali o di settore, a 46 ore. Le critiche alla proposta sono rivolte proprio ai rapporti di forza tra i lavoratori e le imprese che hanno a disposizione diversi strumenti per costringere i dipendenti ad accettare eventuali accordi aziendali.

Gli apprendisti lavorano attualmente 35 ore settimanali, con un massimo di 8 ore al giorno. Con la riforma, il datore di lavoro potrà decidere di far lavorare gli apprendisti fino a 40 ore alla settimana per un massimo di 10 ore di lavoro al giorno. In realtà, il codice del Lavoro già lo prevede, ma solo in base a un accordo con l'ispettorato e il medico del lavoro che invece con la nuova legge dovranno essere semplicemente "informati". L'articolo vale solo per gli apprendisti maggiorennni.

In ITALIA la riforma del lavoro punta alla 'flessibilità' introducendo un orario lavorativo meno rigido, il telelavoro, la possibilità di fruire dei congedi parentali anche su base oraria. Riformato il part-time: si può considerare parziale ogni rapporto di lavoro che preveda un numero di ore settimanali inferiori a 40 o il minor numero previsto dal contratto collettivo.

DIMINUZIONE STIPENDI. Tramite un semplice accordo aziendale, per ragioni non necessariamente determinate da difficoltà economiche, il datore di lavoro potrà, per una durata massima di cinque anni, imporre una diminuzione dello stipendio o un aumento delle ore di lavoro. I dipendenti saranno obbligati ad accettare, pena il licenziamento.

In ITALIA il decreto attuativo del Jobs Act in materia di demansionamento ha reso possibile, oltre alla 'retrocessione' del dipendente riguardo alle mansioni, anche la diminuzione dello stipendio. Con l'entrata in vigore del decreto, gli accordi di diminuzione dello stipendio sono validi, anche se individuali tra azienda e lavoratore, rispettando determinate condizioni come la conservazione dell'occupazione o in alternativa, deve sussistere l'interesse del lavoratore al miglioramento delle condizioni di vita.

INDENNITA'. L'indennità che un dipendente potrà ricevere in caso di licenziamento senza giusta causa viene ridotta. Attualmente è il giudice che stabilisce l'importo che l'azienda deve versare all'impiegato. L'esecutivo propone invece indennità crescenti con l'anzianità aziendale: 15 mesi di salario per i lavoratori con almeno 20 anni di servizio; 12 mesi per quelli con 10-20 anni; nove mesi con 5-10 anni; sei mesi con 2-5 anni; tre mesi al massimo per tutti gli altri.

In ITALIA il jobs act prevede il contratto a tutele crescenti: la norma italiana è più generosa nei confronti dei dipendenti licenziati senza giusta causa che hanno diritto a due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di quattro e un massimo di 24 stipendi. Per evitare di andare in giudizio si potrà fare ricorso alla nuova conciliazione facoltativa incentivata. In questo caso il datore di lavoro offre una somma esente da imposizione fiscale e contributiva pari ad un mese per ogni anno di servizio, non inferiore a due e sino ad un massimo di diciotto mensilità. Con l'accettazione il lavoratore rinuncia alla causa.

RIPOSO FORZATO. Al momento la legge prevede che il lavoratore 'reperibile' sia remunerato. Con la riforma le ore di reperibilità saranno considerate alla stregua delle ore di riposo settimanale e di conseguenza non retribuite.

LICENZIAMENTO PER RAGIONI ECONOMICHE. Il codice del Lavoro prevede che un lavoratore possa essere licenziato se la società incontra difficoltà finanziarie, vale a dire una "cessazione di attività" o "cambiamento tecnologico". Con la nuova legge, possono essere presentate due nuove motivazioni: "una riorganizzazione necessaria per salvaguardare l'azienda" o "un calo degli ordini o delle vendite per diversi trimestri consecutivi, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente; perdite di per diversi mesi; o un significativo deterioramento in contanti". In altre parole, un dipendente può essere licenziato perchè l'azienda possa essere più competitiva.

In ITALIA sparisce l'articolo 18: dall'entrata in vigore, il 7 marzo 2015, tutti i nuovi assunti – anche chi passerà da un'azienda a un'altra – non avranno diritto alle tutele dell'articolo 18, che resta, invece, per tutti gli altri. L'articolo 18 verrà sostituito con gli indennizzi previsti dal contratto a tutele crescenti. L'articolo 18 indicava quali fossero i diritti e i limiti per chi veniva licenziato in modo illegittimo e decideva di fare richiesta al giudice.

LA CONTRATTAZIONE SINDACALE. L'articolo 2 del disegno di legge concentra su di sé la maggior parte del malcontento. Prevede infatti "un'inversione della gerarchia delle norme". Il testo, se adottato così com è, consacra "la supremazia degli accordi interni all'azienda, rispetto a quella nazionale di settore", soprattutto in materia di orario di lavoro. Il punto centrale è che gli accordi interni avrebbero la precedenza rispetto agli accordi di settore, in genere più favorevoli ai lavoratori. La paura dei sindacati è che, con l'aumentare dell'importanza della cosiddetta 'contrattazione secondaria', i datori di lavoro si trovino in una posizione di forza rispetto ai propri impiegati.

In ITALIA il 'jobs act' ha previsto il riordino delle tipologie contrattuali. Per il contratto a tempo determinato resta il limite attuale di 36 mesi: esclusa la riduzione a due anni e quella del numero possibile di proroghe (resteranno cinque). Stop, invece, ai vecchi contratti di collaborazione co.co.pro: dal 2016, su quelli ancora in essere, verranno effettuati dei controlli.