Migranti, ‘back to Schengen’: la formula del tandem Tusk-Juncker

Tre i punti: aiutare la Grecia, convincere i più riottosi tra i Paesi centrorientali a riaprire i propri confini e spingere la Turchia a sigillare le proprie frontiere

"Back to Schengen". E' lo slogan col quale stanno lavorando in tandem da una decina di giorni il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker e quello del Consiglio Donald Tusk. Un obiettivo, quello di tornare alle frontiere aperte dentro l'Europa (proprio così sarebbe intitolato anche un documento della Commissione), che si reggerebbe su tre gambe: aiutare la Grecia, convincere i più riottosi tra i Paesi centrorientali a riaprire i propri confini e spingere la Turchia a sigillare le proprie frontiere e a riprendersi quelli che riescono a scappare.

LA GRECIA. Juncker ha annunciato la settimana scorsa 700 milioni di euro in tre anni (300 nel 2016, 200 nel 2017 e 200 nel 2018) per aiutare la Grecia a fare fronte alla crisi migratoria e Tusk è andato a trovare il premier Alexis Tsipras per rassicurarlo: "Escludere la Grecia da Schengen – ha detto – non sarebbe né un fine né un mezzo in questa crisi. La Grecia è parte di Schengen, dell'area euro e tale resterà".

L'EST E I BALCANI. Per convincere poi i Paesi centrorientali a riaprire i confini, Tusk ha girato come una trottola: in tre giorni, da martedì a giovedì, è stato a Vienna, Lubiana, Zagabria, Scopie, per poi terminare il tour appunto ad Atene e ad Ankara. Fermandosi anche a verificare di persona la situazione al confine tra Slovenia e Croazia. Dappertutto ha portato lo stesso messaggio: "Dobbiamo evitare l'illusione – ha detto – che invece del pieno rispeto delle regole di Schengen, ci possa essere un'altra soluzione europea facile e conveniente. Rispettare le regole di Schengen non risolverà di per sé la crisi migratoria. Ma non farlo ci toglierebbe ogni possibilità di riuscirci". Non sembra però aver raccolto grandi impegni dai leader che ha incontrato. Il cancelliere austriaco Werner Faymann ha ribadito che i migranti "devono essere fermati lungo la rotta dei Balcani", denunciando il "caos disorganizzato dell'Europa" e confermando l'intenzione di fermare a 37.500 il numero dei rifugiati da accogliere nel 2016: "Se l'Europa agisse in modo simile all'Austria allora prenderebbe due milioni di persone", ha rivendicato. Per parte sua, nonostante le ripetute condanne arrivate anche dallo stesso Juncker, Tusk è stato piuttosto accomodante. "L'Austria è stata nell'occhio del ciclone per molti mesi" e "non solo si è fatta carico di 90mila rifugiati nel 2015, ma continerà a essere aperta ai rifugiati in futuro". Proprio per questo tra i cittadini, ha aggiunto, "la pazienza si sta esaurendo mentre forze populiste stanno emergendo", offrendo una sponda al cancelliere, che da mesi mette in guardia su questo fronte. E il caso della Slovacchia (che a luglio assumerà la presidenza di turno dell'Ue) sembra dargli ragione: il voto ha consegnato la vittoria al premier uscente, il socialdemocratico Robert Fico, ma ha anche segnato una forte avanzata delle forze dell'estrema destra. In Croazia invece Tusk ha ammonito il premier Tihomir Oreskkovic: "E' difficile, lo so, ma solo le norme di Schengen possono rappresentare la base di una solluzione europea complesive".

LA TURCHIA. Ma è la terza gamba, quella turca, quella al momento più controversa. Il commissariamento del principale quotidiano anatolico, Zaman, ha messo tutti di fronte alla cruda realtà: quello instaurato da Recep Tayyip Erdogan è un governo autoritario che arriva ad operazioni repressive che in Europa non sarebbero neanche pensabili. Così, mentre le organizzazioni umanitarie come Human Rights Watch si affanno a denunciare che la Turchia non è affatto un Paese sicuro per i rifugiati, Juncker e Tusk cercano un modo per presentare alla stampa in modo più gentile quello che sperano di ottenere oggi da Ankara: un accordo per massicci rimpatri verso la Turchia.

"NON VENITE IN EUROPA". Gli strumenti a disposizione a questo punto sembrano pochi e così Tusk, nel corso della visita in Grecia si è lasciato andare giovedì a un grido disperato: "Qui da Atene voglio fare appello a tutti i potenziali migranti economici da dovunque voi veniate. Non venite in Europa".