Irlanda al voto: si cerca respiro da austerità, rischio stallo

Per i sondaggi Fine Gael e Partito laburista non arriveranno stavolta alla maggioranza assoluta

Gli irlandesi sono chiamati oggi alle urne per le elezioni generali. Si tratta di un voto anticipato, che è stato convocato lo scorso 3 febbraio dal premier Enda Kenny. I seggi sono aperti da stamattina alle 7 ora locale (le 8 in Italia) e chiuderanno alle 22 (le 23 in Italia). Sulla scelta degli elettori avrà un peso il fattore economico: i cittadini sono chiamati a scegliere un governo che da una parte rafforzi la ripresa economica, ma dall'altra anche alleggerisca l'austerità che hanno dovuto affrontare di recente. Tutto ciò a due anni dall'uscita con successo dell'Irlanda dal programma di salvataggio dell'Unione europea e del Fondo monetario internazionale.

RISCHIO STALLO POLITICO COME SPAGNA E PORTOGALLO. Il rischio che si profila è che le elezioni non diano alcun vincitore chiaro e si possa cadere in uno stallo politico come è già avvenuto in altri due Paesi che hanno usufruito dei piani di salvataggio dell'Ue, cioè Spagna e Portogallo. La legislatura era cominciata a febbraio 2011 con un governo di coalizione fra il partito conservatore Fine Gael, del premier uscente Enda Kenny, e i laburisti della vice premier Joan Bruton. Allora questi due partiti presero il posto della coalizione composta da Fianna Fail, che aveva mantenuto l'egemonia nel Paese per decenni, e Verdi. Ma stando ai sondaggi, il Fine Gael e il Partito laburista della vice premier non arriveranno stavolta alla maggioranza assoluta né saranno in grado di accordarsi con partiti di minoranza e candidati indipendenti. Si potrebbe invece forse raggiungere una maggioranza, stando ai sondaggi, nel caso di un'alleanza tra Fine Gael e il centrista Fianna Fail, che è una delle opzioni più commentate al momento in Irlanda. Sarebbe un fatto storico visto che i due partiti, pur avendo posizioni economiche simili, hanno differenze che risalgono alla guerra civile del 1922-1923.

IL PREMIER: CAMBIO GOVERNO SAREBBE RISCHIO PER ECONOMIA. La breve campagna elettorale del premier Enda Kenny è stata incentrata sul sostenere che l'economia nazionale continuerà a crescere solo se i cittadini (gli elettori sono poco più di tre milioni) sceglieranno di mantenere la coalizione al potere. Gli indicatori macroeconomici appoggiano l'operato della coalizione uscente conservatori-laburisti, che ha applicato il rigido programma di aiuti richiesto dal governo precedente a dicembre 2010, del valore di 85 miliardi di euro. A poco più di cinque anni di distanza, però, il monito di Kenny – che i critici bollano come "messaggio di paura" – non ha fatto breccia in buona parte degli irlandesi.

RISULTATI ECONOMICI AL DI SOPRA DELLA MEDIA UE. Per un osservatore esterno può risultare strano che i cittadini voltino le spalle a un governo che è riuscito a ottenere l'anno scorso un aumento del Pil al di sopra della media della zona euro, spiega l'economista David McNamara di Davy Stockbrokers. Ma a pesare sono le misure di austerità che il Paese ha dovuto sostenere per raggiungere questi risultati. La Banca centrale irlandese (Icb) ha confermato che l'economia attraversa un periodo di espansione "eccezionale" e stima che il Pil nel 2015 sia cresciuto del 6,6%, mentre per 2016 e 2017 prevede che crescerà rispettivamente del 4,8% e del 4,4%. Numeri che contrastano, invece, con le modeste previsioni di crescita del Pil dell'1,7% e dell'1,9% previste per la zona euro nel 2016 e nel 2017, e con quelle dell'1,9% e del 2% previste nello stesso periodo per i 28 Stati membri dell'Ue. "Con cifre come queste in mano i candidati hanno adottato durante la campagna elettorale la cosiddetta 'politica di Santa Claus', promettendo taglio delle tasse e aumento della spesa pubblica per alleviare i danni causati dall'austerità", soprattutto nella classe operaia e nella classe media", spiega McNamara.

L'OCCUPAZIONE E I SALARI. Il 'taoiseach', questo il nome del primo ministro in gaelico, ha insistito sul fatto che "favorirebbero la fuga di capitali" un cambio di passo al governo o l'inizio di un periodo di incertezza che si aprirebbe in caso di impossibilità di formare un governo, il che nella peggiore delle ipotesi potrebbe anche portare a nuove elezioni entro sei mesi. Kenny teme inoltre che in questo scenario ci sarebbe una frenata nella creazione di posti di lavoro dopo che la Banca centrale irlandese ha estimato che la disoccupazione nel 2016 potrebbe attestarsi intorno all'8,2% e al 7,4% nel 2017, cifre ben lontane dal 15% di inizio 2012. La Banca centrale, inoltre, prevede che i salari potranno salire del 2,5% tanto quest'anno quanto l'anno prossimo, il che aumenterebbe le entrate a disposizione delle famiglie e rafforzerebbe il consumo interno.

LE ESPORTAZIONI E I RISCHI IN CASO DI BREXIT. Secondo l'esperto, le promesse elettorali non arriveranno a realizzarsi se i pronostici economici si riveleranno sbagliati, ma la buona salute di un'economia tanto globalizzata come quella irlandese dipende sia dalla capacità di chi governa che dalla congiuntura internazionale. Per esempio le esportazioni irlandesi, uno dei motori dell'economia del Paese, potranno essere pregiudicate se l'Ue vivesse un rallentamento della crescita o entrasse in recessione.

Negli ultimi anni la bilancia commerciale dell'Irlanda è riuscita ad aumentare significativamente il suo surplus grazie, fra le altre cose, alla competitività delle sue esportazioni e alla debolezza dell'euro rispetto alla sterlina britannica e al dollaro statunitense, suoi principali partner commerciali fuori dalle frontiere comunitarie e due delle economie che meglio hanno schivato la crisi internazionale. Secondo alcuni esperti, la moneta del Regno Unito potrebbe cominciare a perdere forza rispetto all'euro davanti all'ipotesi del Brexit, l'uscita di Londra dall'Ue, il che provocherebbe all'economia irlandese una perdita di "miliardi di euro" ogni anno, secondo quanto ha calcolato un think tank di Dublino. A proposito della questione economica esistono alcune linee rosse per tutti i partiti politici nazionali: tra queste il mantenimento dell'imposta sui redditi d'impresa al 12,5%, ritenuta una chiave per attrarre multinazionali sull'isola, cosa che i partner europei ritengono un caso di concorrenza sleale.