Isis, una fatwa in quindici punti ‘disciplina’ il sesso tra schiave e carcerieri

Washington (Usa), 29 dic. (LaPresse/Reuters) – Un documento redatto dai vertici religiosi dello Stato islamico ‘disciplina’ ciò che secondo il gruppo jihadista è ammesso o vietato nella gestione delle schiave, elencando i casi in cui i “proprietari” delle donne possano avere rapporti sessuali con esse. A stabilire le regole è la fatwa numero 64, datata 29 gennaio 2015, che fa luce su come i jihadisti dell’autoproclamato Califfato stanno tentando di reinterpretare insegnamenti risalenti a secoli fa per giustificare la schiavitù sessuale in cui vengono ridotte le donne in Siria e Iraq. La sentenza fa parte di documenti trovati dalle forze speciali americane in un raid in Siria a maggio. Reuters ha analizzato i documenti, che in precedenza non erano stati resi pubblici.

La fatwa dettaglia la questione in modo approfondito, molto più di quanto lo Stato islamico avesse fatto in un documento sul trattamento degli schiavi nel 2014. Il documento inizia con una domanda: “Alcuni fratelli hanno commesso violazioni in materia di trattamento delle schiave. Queste violazioni non sono consentite dalla legge della sharia perché queste regole non sono aggiornate al nostro tempo. Ci sono indicazioni sull’argomento?”. Segue un elenco in 15 punti, spesso molto dettagliati, che rende esplicito che lo stupro delle schiave è consentito e “legittimo” se si rispettano alcune regole.

Tra i punti, si legge che è vietato a padre e figlio avere rapporti sessuali con la stessa schiava e al “proprietario” di una madre e una figlia di averne con entrambe, così come di averne con due sorelle (una delle due può perciò essere “venduta, ceduta o liberata”). Sono vietati i rapporti con le prigioniere “sino a quando non abbiano avuto il ciclo mestruale e siano diventate pulite”, così come con le donne incinte finché non abbiano partorito. “E’ vietato causare l’aborto”, così come lo sono i rapporti sessuali “durante il ciclo mestruale” e “il sesso anale”. Gli ultimi punti, dopo il dettaglio di quando e come gli stupri siano consentiti, affermano che i proprietari di schiave devono “mostrare compassione verso di loro, essere gentili nei loro confronti, non umiliarle e non assegnare loro lavoro che non sono in grado di fare”, né venderle a individui che sappiano le tratteranno male.

Le Nazioni unite e i gruppi per i diritti umani hanno accusato lo Stato islamico di rapimenti e stupri sistematici di migliaia di donne e bambine, alcune appena 12enni, in particolare appartenenti alla minoranza yazida nel nord dell’Iraq. Molte sono state date ai combattenti come ricompensa o vendute come schiave sessuali. Per nulla intenzionato a nascondere la pratica, il gruppo jihadista ha istituito un ministero dei “bottini di guerra” per gestire gli schiavi, di cui Reuters ha dato notizia ieri. In un documento risalente ad aprile, Human Rights Watch aveva intervistato 20 donne che erano fuggite dalle mani dei jihadisti. Raccontavano come i combattenti dello Stato islamico avessero separato le giovani donne e le ragazze dalle anziane e dai maschi, trasferendole “in modo organizzato e metodico in diversi luoghi in Iraq e Siria”. Le prigioniere erano poi state vendute, regalate e ripetutamente stuprate e sottoposte a violenze sessuali.

Fonte Reuters – Traduzione LaPresse