Madrid (Spagna), 22 dic. (LaPresse/EFE) – Stato islamico, al-Qaeda, Fronte al-Nusra, Boko Haram, al-Shabab. Tanti nomi per altrettanti gruppi estremisti, che hanno in comune l’uso del terrorismo per rendersi visibili e per suscitare le paure dei cittadini di tutto il mondo. Obiettivo che nel 2015 sembrano avere raggiunto, grazie agli attentati che hanno commesso in diversi continenti, dall’Asia all’Africa fino all’Europa. Agendo in modo organizzato nei conflitti come in Siria e Iraq, oppure attraverso ‘lupi solitari’, i jihadisti sono riusciti a seminare la paura a livello globale e a essere considerati una minaccia in ogni angolo del pianeta.
“L’estremismo violento è una minaccia per la pace e la sicurezza del mondo, danneggia i suoi valori e mette a rischio i nostri popoli”, ha detto il segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki-moon, in un forum sul terrorismo a ottobre. “Gruppi come al-Qaeda, Daesh (acronimo arabo per Stato islamico, ndr), al-Shabab o Boko Haram minano i valori universali del rispetto della persona e respingono la Carta Onu a favore della tolleranza e del vivere in pace”, ha aggiunto.
Le azioni dei jihadisti causano ogni giorno morti in Paesi come Siria, Iraq, Afghanistan, Nigeria e Pakistan, ma il loro obiettivo va oltre questi ultimi. Vogliono infatti che l’impatto mediatico delle loro azioni risuoni a livello mondiale, colpendo i Paesi più ricchi e ritenuti più sicuri. Proprio da questa strategia è nato l’attentato più grave della storia francese, a Parigi lo scorso 13 novembre, quando diversi militanti dello Stato islamico hanno seminato il terrore sparando con armi automatiche e facendosi esplodere in attacchi coordinati. Con 130 morti e centinaia di feriti, Parigi si è paralizzata e la Francia ha dichiarato guerra al terrorismo. Diventando il centro mondiale della paura, che si è propagata veloce come un’onda in ogni continente.
La Francia aveva già vissuto un drammatico attacco a gennaio, quando presunti militanti di al-Qaeda avevano assassinato 12 persone nella sede del settimanale satirico Charlie Hebdo. In entrambe le occasioni, i jihadisti sono riusciti a violare i sistemi di sicurezza, così come accaduto in altri sei episodi minori nell’anno. E le azioni hanno sfruttato la potenza delle trasmissioni delle notizie in diretta, attraverso centinaia di emittenti televisive e reti sociali che sono concentrate in contemporanea sui fatti.
I terroristi hanno cercato la stessa risonanza mediatica anche per attacchi come quello di al-Shabab all’università di Garissa, in Kenya, dove furono uccisi quasi 20 studenti. O dopo gli attentati di Tunisi, prima contro il museo del Bardo e poi contro hotel della località costiera di Sousse. In questi casi hanno scelto di colpire i Paesi ricchi non nel loro cuore geografico, ma nei simboli che sono al loro cuore: la cristianità degli studenti ammazzati in Kenya, i occidentali in Tunisia. E anche in questi casi ha funzionato, perché ha propagato la eco delle notizie e fatto crescere il senso di insicurezza e vulnerabilità.
Lo stesso è avvenuto a Bangkok, quando sarebbero stati dei ‘lupi solitari’ a commettere il peggior attacco terroristico nella storia del Paese, facendo esplodere due bombe in un centro commerciale e uccidendo una ventina di persone, tra cui vari stranieri. E ancora, gli oltre cento morti dell’attentato ad Ankara contro una marcia di pace cui partecipavano studenti e curdi, attribuito allo Stato islamico, o l’aereo carico di turisti russi abbattuto sull’Egitto, non hanno fatto altro che rafforzare ancora il potere e la visibilità dei gruppi estremisti.
Così i jihadisti sono riusciti, secondo gli esperti, a trasmettere anche ai cittadini dei Paesi occidentali la sensazione che il pericolo si nasconda in ogni angolo e che nessuno sia al sicuro. Intanto, però, nonostante l’apparenza mediatica, continuano a essere i musulmani le prime vittime delle azioni del terrorismo islamista. Solo in Siria, in oltre quattro anni di guerra i morti sono stati più di 250mila, molti dei quali in attacchi terorristici. Le cifre ufficiali del 2014 riportano che il 79% dei morti per terrorismo è stato registrato in Iraq, Afghanistan, Pakistan e Siria, tutti Paesi musulmani, e in Nigeria, dove l’islam è maggioritario. Atti di violenza estrema quest’anno sono stati commessi anche a Maiduguri in Nigeria, Biyi in Iraq, Kunduz in Afghanistan, Kerawa in Camerun, Yamena in Ciad, al-Qadih in Arabia Saudita. Eppure, il messaggio che viene colto dall’opinione pubblica occidentale è diverso. Quello che essa ricorda sono gli attacchi di Parigi, Londra o New York. Un risvolto che i terroristi sembrano ben abili a sfruttare.